la missione della premier
"La pace si costruisce con la deterrenza", dice Meloni ai soldati in Libano
Il ruolo dell'Italia, i numeri del contingente Unifil, il contesto libanese, tra i razzi di Hezbollah e il silenzio del Palazzo di Vetro. Perché il "paese dei cedri" è una delle chiavi per affrontare lo scontro tra Israele e Hamas
“L'Italia vi è grata”. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha fatto visita alla base Millevoi di Shama, dove sono di stanza i militari italiani dispiegati in Libano nell'ambito delle missioni Unifil e Mibil. Meloni ha ringraziato il contingente italiano, che rinuncia "a tutto per garantire quella pace di cui tanti, soprattutto in questo momento, si riempiono la bocca seduti comodamente dal divano di casa loro. Perché la pace non si costruisce con i sentimenti e le buone parole, la pace è soprattutto deterrenza e impegno, sacrificio".
Nella sua prima visita ufficiale nel paese, la premier ha anche incontrato il premier uscente Najib Mikati. Il faccia a faccia tra i due (rinviato lo scorso dicembre a causa di un problema di salute della presidente del Consiglio) è stato anticipato da una gaffe del primo ministro libanese: ieri Mikati ha accolto Meloni ai piedi dell'aereo di stato che l'ha portata a Beirut da Roma, ma la prima a scendere è stata Patrizia Scurti, fedelissima e potentissima segretaria della leader FdI. Bionda anche lei, è stata scambiata per Meloni e accolta con tutti i crismi da Mikati e dal suo staff, prima di capire l'equivoco. Ma la "missione" della premier è tutt'altro che da ridere. Il Libano è infatti una delle chiavi per affrontare lo scontro tra Israele e parte del mondo islamico. Una chiave ancora più determinante del solito vista la crisi attuale in medio oriente.
Il contesto libanese
L'Italia è impegnata, ha ribadito Meloni, per impedire un’escalation lungo il confine tra Israele e Libano e un allargamento del conflitto in corso a Gaza. Secondo l'agenzia di stato Nna, mercoledì 16 persone hanno perso la vita negli attacchi israeliani nel sud del Libano. Di contro, almeno dieci razzi sono stati lanciati questa mattina dal Libano verso la comunità di confine di Shlomi, nel nord di Israele. Tel Aviv ha da tempo rafforzato la presenza dei suoi soldati lungo la frontiera, dove cresce la tensione, con lanci di razzi e colpi di mortaio, tra l’esercito e gli uomini di Hezbollah, gruppo armato e sciita, finanziato e sostenuto dall’Iran, alleato di Hamas e come Hamas considerato terroristico dagli Stati Uniti, mentre per l’Unione europea lo è solo la sua ala militare – e non dal Libano come stato. Hezbollah ha un arsenale di circa 150 mila razzi con differenti capacità e accuratezza, ha droni e un’unità (la Radwan) creata con l’obiettivo di prepararsi ad attaccare Israele. I suoi miliziani sono ben addestrati, hanno combattuto in Siria, spesso anche a contatto con i mercenari russi della Wagner e sono stati posizionati con lo scopo di invadere un giorno lo stato ebraico. Come scrivevamo sul Foglio, nelle condizioni in cui si trova oggi il Libano, sembrerebbe impossibile pensare che Hezbollah possa avere intenzione di trascinare la nazione in una nuova guerra. In 34 giorni di conflitto con Israele del 2006 morirono oltre mille libanesi e 165 israeliani, e servirono anni al Libano per riprendersi economicamente in un momento in cui le sue finanze godevano di una salute migliore. Eppure, la stessa ragione d’essere del Partito di Dio resta l’eterna contrapposizione con Israele, la retorica e la narrazione della difesa del paese che permette alle milizie d’ammassare quelle armi con cui tiene in ostaggio da decenni un’intera nazione.
Durante l'incontro tra Mikati e Meloni sono state discusse le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu riguardanti la regione e il Libano. Mikati ha riaffermato l'impegno del suo paese ad attuare pienamente tutte le risoluzioni internazionali, in particolare la 1701 dell’11 agosto 2006, che invitava alla completa cessazione delle ostilità (sia degli attacchi di Hezbollah che delle operazioni militari di Israele) e rafforzava il contingente di Unifil (da 2.000 a 13.000 unità) affidandogli una azione "cuscinetto" nel Libano meridionale, da svolgere congiuntamente alla forze libanesi, per prevenire la ripresa degli scontri. Ma dal 7 ottobre, Hezbollah vìola una risoluzione Onu dietro l’altra, mentre il Palazzo di vetro non fiata.
Le missioni Unifil e Mibil
In tutto sono oltre 1.300 i militari italiani coinvolti in Libano. Dopo la crisi dell'agosto 2006 al confine tra Libano e Israele, è stata potenziata la missione Unifil (Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite, in inglese United Nations Interim Force in Lebanon). Creata il 19 marzo 1978 e rinnovata più volte (dall'intervento israeliano del 2006 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu la rinnova ogni anno), ha il compito di monitorare la cessazione delle ostilità e di assistere l'esercito libanese a esercitare la sovranità nel paese e a imporre il disarmo dei gruppi armati. Quello italiano è uno dei contingenti più numerosi, con al massimo 1.292 persone (erano 1.169 nel 2023). Si prevede l’impiego di 375 mezzi terrestri, sette mezzi aerei e un mezzo navale. Il fabbisogno finanziario, per il 2024, è stimato in oltre 160 milioni di euro.
La missione Mibil (105 persone nel 2024, erano 190 nel 2023) si occupa invece della formazione del personale militare libanese.
A fine novebre scorso, tuttavia, il ministro degli Esteri israeliano Cohen ha spedito una lettera al Consiglio di sicurezza, dicendo che la missione Unifil non è in grado di garantire la sicurezza nel sud del Libano, cioè di svolgere uno dei suoi compiti fondamentali. Se i Caschi blu non sanno tenere sotto controllo la zona, e se anche da postazioni vicine alle basi dell’Onu le milizie palestinesi e la milizia libanese Hezbollah continueranno a colpirci, dice, allora le forze di difesa israeliane saranno costrette a sostituirsi di fatto alla missione e intraprendere “un’azione militare” estesa che potrebbe portare a una guerra più grande in tutta la regione.