Il caso
I sospetti di Meloni su "Matteo Le Pen" e la mozione intrecciata a quella di Santanchè
La strategia del leader della Lega in asse con Marine Le Pen contro la premier. Domani la mozione di sfiducia sul vicepremier sarà collegata, come tempi, a quella sulla ministra del Turismo: FdI e Carroccio non si fidano l'uno dell'altro
La zia “Santa” e il cugino italiano di Le Pen. I destini della ministra del Turismo e del capo della Lega sono pronti a intrecciarsi ancora una volta domani per via delle due mozioni di sfiducia che li attendono alla Camera. L’esito è scontato, come da grammatica della politica parlamentare. Tuttavia in maggioranza il clima di sospetti è sempre più denso. Tanto che, attraverso un gioco di incastri del calendario, tutto è stato costruito affinché Fratelli d’Italia sia sicuro che l’alleato non faccia scherzi su Santanchè e, di converso, la Lega porti a casa la pelle intonsa di Salvini. In entrambi casi, davanti ai reciproci sgambetti, cadrebbe il governo, ma la prudenza pare non essere mai troppa. Ecco perché domani mattina a Montecitorio si inizierà prima con la discussione generale sulla mozione contro la ministra del Turismo, indagata per truffa allo stato per aver usufruito da imprenditrice, con la sua società Visibilia, della Cassa Covid. E poi in serata si procederà con il voto su Salvini, il “russo” come l’accusano le opposizioni. Subito dopo, con una logica a pacchetto, si passerà alla Santa. Sono loro due i sassolini nella scarpa di Meloni, ormai si sa.
Sulla permanenza nel governo della ministra di Fratelli d’Italia sarà la premier a decidere, non l’Aula, magari spingendola a un passo indietro quando arriverà il rinvio a giudizio del gup. Per il capo della Lega, invece, non si può fare questo discorso. Le opposizioni lo accusano di non aver ancora rescisso il cordone con Mosca – e di non aver formalmente disdetto la collaborazione con Russia unita, il partito di Putin – dopo le dichiarazioni che hanno salutato la rielezione del dittatore del Cremlino all’insegna “del popolo ha sempre ragione”. Parole che hanno lasciato di stucco, più che le minoranze parlamentari, proprio Palazzo Chigi. Il cortocircuito è questo: il vorrei, ma non posso della presidente del Consiglio. E non è nemmeno l’unico.
Perché i rapporti altalenanti fra Meloni e Salvini hanno di nuovo registrato forti oscillazioni dopo le dichiarazioni di Marine Le Pen all’iniziativa della Lega contro la premier e leader dei Conservatori in vista delle europee. Dopo quell’appuntamento, sono passati ormai dieci giorni, gli attacchi del Rassemblement national (Rn) a Meloni hanno preso ad aumentare e a rimbalzare da Parigi a Roma. Dritti verso Ecr e dunque al cuore della leader dei Conservatori.
Prima di Pasqua, nel corso di un incontro organizzato da Politico e dal think tank Europa Nova a Parigi, il capolista del Rassemblement national alle elezioni europee, Jordan Bardella, ha detto di puntare a una “scissione” del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) guidato da Meloni (criticata per la vicinanza a Ursula von der Leyen) in favore di Identità e democrazia (Id) di cui fa parte Rn con la Lega. “Possiamo ragionevolmente sperare di essere il terzo gruppo dell’Europarlamento”, ha dichiarato Bardella, in pole nei sondaggi in Francia in vista del voto del 9 giugno. E’ la strategia muta e concordata di Salvini, ragionano, con le mosche al naso, nelle stanze di Palazzo Chigi dove all’inizio avevano accolto di buon occhio la svolta di Le Pen in Parlamento a favore dell’Ucraina (si era astenuta sul piano Macron e non aveva votato contro) tanto da richiedere lo sbobinato integrale tradotto del suo discorso. Nei piani degli strateghi di Meloni, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari su tutti, la mano quasi tesa a Kyiv poteva essere un segnale di allontanamento tra Marine Le Pen e Salvini. E però così non è stato.
In mezzo, a cambiare le carte in tavola, ci ha pensato la convention di Id a Roma. Matteo e Marine, di nuovo insieme seppur in collegamento video, scommettono sul no del PiS polacco all’ingresso di Viktor Orbán in Ecr, ma anche sul no di Vox a qualsiasi accordo che porti al nome di Ursula von der Leyen. Una strategia che Salvini ripete in Italia e Marine Le Pen in Francia anche per arginare l’ascesa della nipote Marion Maréchal, a candidata con Reconquête di Zemmour, da poco nella famiglia dei Conservatori. Salvini alla lunga potrebbe così preferire paralizzare, dall’opposizione, le mosse della futura commissione, visto quanto appare complicato, al di là dei numeri, unire tutte le forze di destra, quelle di Id e quelle di Ecr. A meno che, certo, Meloni non offra un posto da commissario a un leghista (si fa il nome di Giancarlo Giorgetti): scenario complicato visto che per la prima volta Fratelli d’Italia potrebbe esprimerne uno.
Sono pensieri e sospetti reciproci che dalle parti della Lega si intrecciano con i ragionamenti di Palazzo Chigi per ricadere nella più classica delle prassi parlamentari: la mozione di sfiducia singola a un ministro. Che in questo caso sarà doppia: prima la “Santa”, poi Salvini, anche se con il medesimo risultato. Fino a giugno sarà così: con le due destre divise e sospettose in casa. Al punto che anche la chiusura della campagna elettorale in Basilicata, il prossimo 19 aprile, assumerà i contorni del quasi evento. Non tanto per la presenza del governatore uscente Vito Bardi, ma per la concomitanza su un palco di Salvini e Meloni (e Tajani). L’ultima volta che è accaduto, a Pescara, il capo della Lega se n’è andato a sorpresa al momento dell’Inno di Mameli.