L'editoriale dell'Elefantino
Se tutto diventa profilo penale, non ha senso lamentarsi per la democrazia fragile dell'opinione
Il disprezzo per la gente di partito, che organizza un sistema di voti e di consenso anche mediante lo scambio di interessi popolari legalmente rappresentati, è al suo culmine nell’Italia di questi anni. Eppure...
Cacicchi, capibastone, ras: il disprezzo per la gente di partito, che organizza un sistema di voti e di consenso anche mediante lo scambio di interessi popolari legalmente rappresentati, è al suo culmine nell’Italia di questi anni. Eppure gli stessi che demoliscono moralmente il ceto accusato in blocco, codice penale alla mano, di voto di scambio e di traffico di influenze, tra questi gli amministratori che coalizzano consensi territoriali e per questo sono sempre in sospetto di scambio contiguo alla corruzione e alla mafia, non sopportano i sondaggi come strumento di indirizzo dell’opinione, non amano la cosiddetta personalizzazione plebiscitaria di politica e leadership, dannano le aziende-partito e i partiti-azienda, identificano nel berlusconismo e poi nel grillismo fenomeni di natura eversiva, mutamenti genetici del sistema democratico, veicoli di incompetenza e arrivismo che destabilizzano le istituzioni. Non vogliono i partiti, ma detestano l’antipolitica o le nuove forme d’opinione mediate dalla tv e dai social come vettori della politica.
La nostra Costituzione prevede i partiti, dunque la loro gente, i loro capi, gli amministratori e gli eletti da questi espressi, per non dire della piccola minoranza sopravvissuta di funzionari e attivisti. Ci si contraddice palesemente quando si fa appello alla Costituzione contro la politica spettacolarizzata, i meet-up, i club, i partiti di plastica, i conflitti di interesse e le guerre mediatiche e al tempo stesso si rigettano le basi e i protagonisti della vita di partito, che ruotano intorno a uno scambio e rappresentanza di istanze popolari, di comunità, di gruppi, di settori della società, di bisogni diffusi nell’ambito del territorio, dei servizi, del lavoro, della vita familiare. Se cala la cappa del giudizio criminalizzante sulle tessere, le affiliazioni sociali, i signori degli apparati, le primarie, i sindaci e i governatori con un sistema di consenso affermato e trasversale, se tutto diventa profilo penale, voto di scambio e traffico di influenze procacciati da malfattori della politica clientelare, da controllare con le manette o con il codice etico, allora non ha senso lamentarsi per la democrazia fragile dell’opinione, dove l’appartenenza e la solidarietà di partito sono sostituite da risorse campagne controllo dei media culti personali e trovate di scena che si rincorrono e amplificano.
Una volta c’erano le ideologie, i confessionalismi, le tradizioni, i congressi e le forme tipiche dell’aggregazione dei partiti, della loro vita interna, più o meno credibile sotto il profilo democratico. Ma era qualcosa. E qualcosa che non ritornerà più, probabilmente, certo non in quelle modalità. A parte giganteschi mutamenti di cultura sociale, salti generazionali decisivi nei costumi, nella tecnologia e nel suo uso pubblico e privato, basti pensare alle supplenze togate, alle retate di intere classi dirigenti, alle marce e fiaccolate, al popolo dei fax, alle campagne corrive dell’irruzione antipartito della magistratura da trent’anni a questa parte, non ultima la diffusa accusa di corruzione e mafia come complemento quasi necessario della definizione di ciò che era politica e partito. Compresa la fine delle salvaguardie costituzionali della divisione dei poteri che hanno fatto di chiunque amministri o sia eletto un giustiziabile più o meno come gli altri, senza riguardo al suo status particolare, concedendo un potere assoluto sulla politica alle procure della Repubblica.
Però bisogna decidersi. Tra un’inchiesta e l’altra, una denuncia e l’altra, la gente di partito, specie se popolare e radicata nelle amministrazioni, è condannata alla reputazione del cacicco dal potere losco e insindacabile, progettato e esercitato nel segno della corruzione e dei reati similari di criminalità organizzata. Si è arrivati a eleggere un segretario di partito, Schlein, in opposizione alla gente che è la base organizzata di quel partito, nel nome della lotta alle turpi correnti. Poi, contro l’antipolitica, ci si appella alla Costituzione che in un suo celebre articolo mai applicato prevedeva la formalizzazione legale del ruolo dei partiti e delle loro strutture, anche in funzione di un controllo del rapporto tra individuo, società e potere. Altro che capibastone.