Next generation Giorgia
L'abbraccio mozzafiato tra Draghi e Meloni esiste già. Le prove su economia, esteri e migranti
L'intesa tra l'ex banchiere e la presidente del Consiglio in Europa è molto difficile ma è una speranza da coltivare e un fatto politico naturale. Mosse e capriole. Chi è l’erede dell’ex premier? Citofonare Salvini
Draghi e Meloni: what else? Su Repubblica di ieri, Claudio Tito ha rievocato uno scenario interessante, “un piano concreto da mettere in atto se le condizioni politiche lo consiglieranno”. Il piano è presto detto: Giorgia Meloni potrebbe lanciare la candidatura di Mario Draghi alla guida delle istituzioni europee, senza attendere che lo facciano altri leader. La possibilità che la presidente del Consiglio possa davvero fare un passo in questa direzione è in verità molto remota, così come è complicato da immaginare che la famiglia politica che verosimilmente guiderà le danze all’indomani delle europee, ovvero il Ppe, possa rinunciare con facilità alla casella del presidente della Commissione europea. Questo non vuol dire però che la prospettiva di un abbraccio mozzafiato tra Draghi e Meloni non sia, allo stesso tempo, una direzione giusta, una speranza da coltivare e anche un fatto politico che a suo modo sarebbe perfettamente naturale. Sarebbe un sogno se Giorgia Meloni, anche rendendosi conto della debolezza della sua classe dirigente, decidesse di riallacciare i rapporti con l’ex presidente del Consiglio scommettendo su di lui per poter avere, in Europa, quello che l’Italia da sola oggi difficilmente potrebbe avere, ovverosia un ruolo importante nell’Europa che verrà.
Sarebbe un sogno se Meloni, scommettendo su Draghi, facesse un passo in avanti nella stagione della Next Generation Giorgia, collocando cioè il suo partito un po’ più lontano dal buco nero del sovranismo e un po’ più vicino al nuovo baricentro dell’europeismo. Ma sarebbe anche perfettamente naturale se questo accadesse, se ci fosse una triangolazione esplicita, pubblica, politica tra il presidente del Consiglio di oggi e quello di ieri perché nonostante le premesse a un anno e mezzo dalla nascita del governo Meloni si può dire senza paura di essere smentiti che la figura politica, attuale, più vicina all’ex premier corrisponde all’unico leader politico che nella scorsa legislatura ha sempre votato contro la fiducia a Mario Draghi. Nonostante le molte difficoltà, le mille contraddizioni e le infinite problematiche, il draghismo di Meloni continua a essere un tema reale sia per i meriti della premier sia per i demeriti dei suoi competitor politici compresi quelli che si trovano al governo.
Nessuno tra i principali leader politici, oggi, è atlantista come lo è Giorgia Meloni e come lo è stato Mario Draghi. Nessuno tra i principali leader politici, oggi, è vicino all’Ucraina come lo è Giorgia Meloni e come lo è stato Mario Draghi. Nessun leader politico, oggi, sui temi della prudenza di bilancio è rigorista come Giorgia Meloni, il cui governo, due giorni fa, ha dovuto registrare un aumento del debito pubblico nei prossimi anni più per demeriti dei suoi predecessori (vedi il Superbonus) che per demeriti degli attuali governanti. Nessun leader politico, oggi, su alcuni temi economici, come la fine del mercato tutelato, è così vicino all’agenda Draghi come lo è Meloni. E nessun leader politico, oggi, su alcuni temi europei ha una posizione simile più a quella che aveva l’ex premier che a quella che hanno alcuni partiti dell’esecutivo (vedi le norme sul Patto di stabilità). E nessuno più di Meloni, oggi, anche sul dossier dei migranti, ha una posizione così simile a quella che aveva l’ex premier Mario Draghi.
Ieri, lo avrete visto, il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza i dieci testi che compongono il Patto sulla migrazione e l’asilo. Gli alleati europei di Salvini e Meloni hanno espresso il proprio dissenso nei confronti del patto (Rassemblement national, Fpö austriaco, i polacchi del PiS, gli spagnoli di Vox), il partito di Salvini ha scelto di votare contro (sfiduciando di fatto il proprio governo, il proprio alleato, oltre che il proprio ministro dell’Interno, Piantedosi, favorevole alla riforma europea), il M5s ha votato contro, il Pd ha votato contro e il tutto nonostante il fatto che ad aver promosso questo patto, nella scorsa legislatura, sia stato proprio il governo Draghi, sostenuto dagli stessi partiti che oggi svengono di fronte a quel patto (un patto tutt’altro che perfetto, come racconta bene David Carretta sul Foglio, ma un patto che comunque introduce un elemento di solidarietà, in Europa, un patto che permette di fare un piccolo passo in una direzione opposta a quella imposta dai sovranisti, l’Europa è il problema non la soluzione quando si parla di immigrazione, e un patto che non a caso è detestato dai partiti dell’estrema destra europea, che di solidarietà quando si parla di immigrazione non ne vogliono sentir parlare). L’asse Draghi-Meloni è dunque difficile da vedere, ragionando sugli scenari europei, ma è un asse che sarebbe quantomai necessario per permettere al partito di Meloni di crescere, di trasformarsi, di europeizzarsi e di dar seguito a quella forma di trasformismo con cui la premier sta trollando i suoi follower sovranisti. Un asse che sarebbe naturale per Meloni ma che sarebbe naturale anche per Draghi, il cui formidabile trasversalismo, da Carli a Modigliani passando per Berlusconi, Renzi, Conte e Salvini, gli permetterebbe di digerire senza troppa fatica anche un’eventuale indicazione meloniana in Europa. Draghi e Meloni: da leccarsi i baffi, no?