E Zaia che fa?
Da von der Leyen kapò alla minaccia islamica: i manifesti elettorali contro l'Europa della Lega in Veneto
La campagna per le europee scelta dal Carroccio locale diventa un caso. Dietro l’iniziativa ci sarebbe il segretario regionale Stefani: Zaia non sa, gli zaiani storcono il naso ma non lo dicono. Si tengono pronti a contestare Vannacci
Ursula versione kapò, cappa totalitarista e alta uniforme. Di fianco, l’apocalittico appello: “Cambiamo l’Europa, prima che lei cambi noi”. È uno dei manifesti – tre o quattro in tutto, dello stesso repertorio – che la Lega ha scelto in Veneto per la campagna elettorale in vista delle europee. Stanno spuntando un po’ ovunque, in queste ore, e quello in questione compare nei dintorni dell’Università di Padova. Mentre un altro a Vicenza ha già scatenato il putiferio: stesso slogan, al posto della militaresca von der Leyen campeggia però una donna che indossa il niqab. Come a dire, finiremo tutti così. Una scelta politica “vomitevole e razzista”, dichiarano le opposizioni, mentre la consigliera regionale del Carroccio Silvia Maino risponde che “disgustoso è semmai la feroce violenza contro le donne sotto il fondamentalismo islamico”.
In campagna elettorale tutto vale, penseranno forse gli alleati di governo, a partire da Antonio Tajani che è invece impegnato a dare un'impronta europeista a Forza Italia. Ma il tono dei manifesti sembra stonare anche coi segnali progressisti della Liga veneta: cosa ne pensa l’area Zaia di tutto questo? In breve: storce il naso, ma non lo dice. E per adesso se ne lava le mani. Anche perché il presidente non ne sa nulla. L’iniziativa elettorale partirebbe infatti dal segretario regionale Alberto Stefani, più megafono di Salvini che della vecchia guardia sul territorio. Di fronte alla rappresentazione di von der Leyen, raccontano al Foglio fonti interne al Carroccio, la vecchia guardia magari fa spallucce: non è un repertorio che piace, ma nemmeno una figura politica per cui immolarsi.
C’è però un tabù che aspetta solo di detonare. E cioè il generale Vannacci capolista in Veneto. Questione di giorni, una decina al massimo, poi si saprà: il campione prescelto da Salvini è militare, non militante né tantomeno veneto. Preferirlo agli amministratori locali saprebbe di affronto, diffidenza, sfida aperta. In una parola, commissariamento. E così, insomma, anziché spendersi contro manifesti di dubbio gusto, l’area pensante della Liga preferisce aspettare. E se Vannacci sarà, a quel punto strappare per intero. Cartelloni, tessere, tutto.