Ansa

Come oscurare i turisti

Il Grand Tour dell'élite de sinistra

La cultura non è più così democratica

Maurizio Crippa

La (non) inspiegabile mania comunista di tornare al mondo in cui viaggia solo l’élite, cioè loro. Dai mugugni contro  Milano assediata dalle Week all'overtourism che colpisce anche la Biennale di Venezia. A Barcellona tolgono i bus ai turisti del Park Güell e Maurizio Maggiani spiega che tutto il male è stato causato dalla libertà di guardare tivù

Dopo l’Art Week, Milano è da oggi preda del Salone del mobile e del temibile Fuorisalone (1.024 “eventi”) e c’è da rallegrarsi per la buona salute dell’industria nazionale e per il lustro internazionale di cui gode il nostro comparto creativo. Ma le voci che denunciano i disagi per i cittadini, i costi stellari, le distorsioni del sistema urbano non sono più solo mugugni sottovoce, e la critica al “sistema Milano” viene da sinistra. A Venezia parte la Biennale e già dal titolo, “Stranieri Ovunque”, ribadisce che niente come l’arte è di sinistra. Ma l’overtourism, l’assedio dei visitatori, le critiche al “sistema Venezia” che è anche in molta parte figlio del “sistema Biennale” sono da tempo tema di dibattito, soprattutto a sinistra: meno turisti, e meno mercanti nel tempio. La grande democratizzazione della mobilità della conoscenza, almeno come basica presa visione delle arti, non è più di moda.

Milano e Venezia sono due casi estremi ma diversi, in Italia. Non sono due città che vivono soltanto di turismo e di sfruttamento industriale del turismo. A Milano si viene per i suoi eventi, dunque per la sua capacità di produzione; per Venezia le Biennali non sono solo vetrine, ma meccanismi produttivi che ne fanno una capitale mondiale del sistema delle arti.  Eppure un certo fastidio critico, di pelle e persino ideologico, anche per questo turismo che si potrebbe definire di secondo grado è da tempo uno degli elementi forti del discorso sociale di sinistra, anti mercato. Troppa gente nel mondo si muove e si muove male, questo è innegabile, e solo per fare arricchire qualcuno. Il bilancio tra costi e benefici è friabile: molto meglio limitare, si sente affermare sempre più spesso. Ma a una banale obiezione, che voglia considerare anche il punto di vista popolare o persino delle masse e del mercato, che non sono per forza sinonimi populisti, come si risponde? Venire a Milano per vedere mobili non è un diritto, nella società aperta? E non è forse uno dei pilastri dell’economia, visto che senza mercato si licenziano gli operai?

Non solo Italia, il problema è mondiale. Domenica sul Manifesto un interessante articolo da Barcellona, firmato da Luca Tancredi Barone, raccontava del grave disagio dei cittadini residenti nel quartiere collinare della Salut, dove si trova il celebre Park Güell, divenuto ormai uno “spazio fisicamente occupato dai turisti”, tanto che i residenti “soprattutto anziani e persone con mobilità ridotta” hanno difficoltà a utilizzare i minubus di quartiere, i “bus del barri”, che servono le ripide stradine, sempre invasi da turisti. Che fare? Con una leggera soddisfazione l’articolo spiega che il comune ha deciso di risolvere il problema in modo radicale: è stato cancellato da Google Maps il percorso dell’autobus: i turisti digitalmente oscurati non sono più in grado di conoscerne l’esistenza e di utilizzarlo. Andranno meno visitatori al  Park Güell, si venderanno meno biglietti? Che importa. Limitazioni analoghe sono ormai sperimentate in molti luoghi ad alto flusso turistico.

L’aspetto interessante, anche se non detto, di questa impostazione è che il diritto fino a poco tempo fa considerato universale e democratico di accedere a luoghi d’arte, e di fare con ciò esperienza culturale, è ora messo in discussione: non è più universale, può essere sottoposto a limiti. Questo però non vuol dire che i critici del turismo di massa, anzi i critici del turismo e dell’esperienza culturale come mercato – compreso il mercato del design a Milano – rinunceranno a usufruirne, loro. Le élite sociali e culturali, il circuito professionale, continueranno a viaggiare. Solo le masse saranno retrocesse e nuovamente escluse. Gli studiosi d’architettura e i conoscitori di Gaudí continueranno ad andare al Park Güell, magari in taxi, e a visitare i non più affollati musei del mondo. Una piccola, un po’ snobistica, riedizione del Grand tour che un tempo era riservato agli aristocratici o ai ricchi borghesi ma precluso alle masse destinate a rimanere ignoranti. E’ uno strano, o nemmeno strano, riflesso condizionato élitario che alligna di questi tempi più a sinistra che a destra (del resto le destre sono ignoranti, no?), occultato dietro un manto di responsabilismo ambientalista.

Cambiando settore merceologico, dal turismo allo spettacolo, ieri la Stampa ha pubblicato un estratto del nuovo libro di Maurizio Maggiani, eccellente scrittore, indubitabilmente di sinistra per quanto non figlio di élite, “La memoria e la lotta - Calendario intimo della Repubblica”. Il suo calendario dice che “fino al 9 maggio 1978 a prevalere è stato lo spirito progressivo, la vitalità, l’energia della promettenza”. Poi che succede? Succede che sui muri delle città d’Italia appare la pubblicità del Biscione di Canale 5. “La felicità pubblica si è fatta consumo privato, le strade si sono svuotate, la comunità ha imparato a non riconoscersi più… la nuova urgenza era tornare a casa per trovare un posto libero sulla Ruota della fortuna”. Tralasciando i legittimi sospetti sulla memoria selettiva e distopica dello scrittore, colpisce questo: ciò che per le masse popolari è stata liberazione, una ventata collettiva e allegra come la vittoria a un gioco a premi, un divertimento in libera scelta, per Maggiani è stato un male. Un po’ come lo è andare a Venezia, per i censori dell’overtourism. Per Maggiani “la Repubblica è ciò di cui ha memoria”, magnifico. Ma perché la memoria dovrebbe essere selettiva, e il popolo non ricordarsi felice di Mike Bongiorno? Conclude Maggiani che “la felicità pubblica s’è rintanata nella mestizia”. E chissà come andrà anche peggio, quando vieteranno al popolo di andare a Venezia, e il tour verrà riservato alle élite. Quelle progressiste.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"