Il racconto
Un kaiser a Firenze, la cavalcata di Eike Schmidt, lo "straniero" che la destra ora sogna sindaco
Viaggio a Firenze, la città dove la sinistra è sottosopra e la destra sogna il colpo con l'ex direttore degli Uffizi. Si paragona all'arciduca, è protetto da Sangiuliano. Ha già sedotto giornali stranieri e ora punta pure a Renzi
Firenze. O fanno la storia o faranno lo strudel. Firenze può cadere in mano tedesca. Il prossimo sindaco rischia di essere lui, il nibelungo Eike Schmidt, l’ex direttore degli Uffizi, il candidato di centrodestra, il Kaiser di Friburgo. Ha sposato una toscana-romagnola, la vera Kaiser-Kaiser, una che alle riunioni con Giovanni Donzelli, feldmaresciallo di FdI (testimonianze di chi c’era) lo incita così: “Eike, rispondi, polemizza! Eike, fai sentire lo stivalone”. E’ la più smandrappata elezione del dopoguerra, il meno-dramma di una comunità. Ci sono giornalisti inviati da Oslo e dal Minnesota: è come la Napoli di Norman Lewis (coprotagonista è Genny Sangiuliano, il ministro ‘o malamente) solo che qui ci sono strade bombardate dai lavori in corso e la finocchiona. E’ Firenze ’24. Ascoltate come si è presentato il Kaiser, all’ex Teatro Tenda. C’era anche un levriero, Grung, Grung.
Ha voluto i palloncini, il podietto all’americana, le bandierine con i gigli, poi il Kaiser Schmidt, martedì sera, è arrivato, sul Lungarno, e ha iniziato: “Ora si gambia in meglio! Gi vuole più effigenza e degoro. Ho un zogno. Rendere Firenze magnifiga. Io non spregherò soldi pubblici”. La sala, apoteosi: “Bravoooooo! Jawohl!”. Ancora il Kaiser: “I giovini devono drovare posti che non siano solo per bere. La polizia munigipale deve drovare la sua ragione d’essere. Basda con Firenze muldificio”. A questa frase i militanti del Kaiser stavano per marciare con il levriero sulle spalle, sbevazzare malto e mettere a tutto volume il Parsifallo. Il giornalista Mario Tenerani, che ha intervistato Schmidt, lo sparring partner, lasciava intendere che lui, il Kaiser, a Firenze, ha fatto più cose del Granduca e il Kaiser annuiva: “In effetti”. Vi avvisiamo che funziona, il Kaiser funziona. Si vota il 9 giugno, ma è scontato che servirà il ballottaggio. Perfino Matteo Renzi nella sua epoca migliore dovette superare questa prova con il rivale Giovanni Galli, ex calciatore. I candidati sindaci sono sette, ma la contesa è a tre. Dario Nardella, l’uscente, dieci anni e mezzo da sindaco, più di Giorgio La Pira, lascerà e si candiderà alle europee. Le primarie di centrosinistra sono saltate. Il Pd, e Nardella, in assemblea, hanno indicato l’assessora al Welfare, Sara Funaro, una donna che ha una storia nel sociale, radici e volontà. Il nonno materno era Piero Bargellini, il sindaco dell’alluvione. Il padre è un avvocato, riferimento della comunità ebraica fiorentina.
Alla stazione di Santa Maria Novella, in edicola, vi offrono le percentuali meglio del sondaggista Noto: “Il Kaiser sta al 35 per cento, Sara Funaro è avanti, al 40, poi c’è Stefania Saccardi, la candidata di Renzi, che sta al 10, mentre al 5 per cento, e se lo merita tutto, c’è Cecilia Del Re, l’assessora ‘cacciata’ da Nardella”. Il campo largo di sinistra, a Firenze, è uguale a quei paninoni che i turisti riempiono con ogni azzardo alimentare. C’è il Pd, la spianata, ma sopra c’è la maionese, Sinistra Italiana e Verdi, il tutto sprimacciato dal curry M5s (in teoria dovrebbe esserci) e non può mancare una pioggia di ketchup che è Azione di Carlo Calenda. Lo stomaco è sottosopra. Serve l’acqua e il selz o forse una lavanda gastrica. I renziani, che in città si paragonano agli apache, raccontano che la Sinistra Italiana ha preteso una clausola anti Italia viva. Lo staff di Funaro dice invece che “il veto contro Renzi è una burla e che il Renzi voleva in anticipo avere il vicesindaco, Francesco Casini. Nessuno gli ha mai chiuso la porta”. La città del riformismo da due anni è un corridoio sociale vasariano. Un simpaticissimo infuriato, che ha un ruolo, è Tomaso Montanari, storico dell’arte, il giovane Zagrebelsky, ma anche detto “il Settis meno un quarto” (è allievo di Salvatore Settis).
Montanari è rettore dell’Università per Stranieri di Siena, quella che chiude per Ramadan, ed è presidente dell’Associazione 11 agosto (giorno della liberazione nazifascista della città) che ha come slogan: “Per una Firenze, più solida, più giusta, più aperta”. Quel diavolaccio di Giuseppe Conte avrebbe pensato a Montanari per mettere pace, ovvero fare esplodere definitivamente Ponte Vecchio. A Schlein, al solito, il “clan Celentano”, i Taruffi, i Baruffi, i Bonafoni, i Furfaro, l’accolita, ha garantito che a Firenze va una meraviglia. Una meraviglia di naufragio. Il segretario regionale del Pd è Emiliano Fossi, il Kant del civismo in Toscana, un altro del clan Celentano a cui consigliamo caldamente di viaggiare con la sua automobile. I tassisti di Firenze, per giustificare il costo della corsa, vi informano che è tutta colpa del Pd che “è il partito a favore della tramvia” e che ci sarebbe il complotto dei complotti: “Deve sapere che i semafori sono a favore del tram e contro i tassisti”. La categoria ama la “fuoriuscita”, l’ex assessora Cecilia Da Re, che sarebbe stata mandata via da Nardella per “slealtà”. Una notte, in consiglio comunale, si è verificato “un malinteso”. Lei, l’ex assessora all’Urbanistica, si sarebbe dichiarata a favore del passaggio della tramvia da piazza del Duomo. Peggio di bestemmiare in chiesa. Lo hanno riportato quattro cronache locali, compreso il dorso del Corriere della Sera che viene supervisionato, a Milano, dal vicedirettore Venanzio Postiglione. Nardella si sente ferito: “Fuori”. Da mesi va inoltre avanti la polemica sulla città “muldificio” e si è infilato anche Matteo Salvini, il nuovo Bruno Vespa (anticipa i contenuti del suo libro come il padre di “Porta a Porta”; fa il retroscenista).
Firenze ha il record delle multe in Italia, dati Sole 24 Ore. Nel 2023 le contravvenzioni ammontano a 122 milioni di euro che, facendo il rapporto, equivalgono a 314 euro pro capite. La destra ci sta costruendo l’intera campagna elettorale insieme al “problema della Cascine”, che il Kaiser promette “sarà il nostro Central Park”, un quartiere che per Simone Sollazzo, meloniano, che lavora nella segreteria FdI in regione, è “una banlieu. E’ arrivato anche il fentanyl. Non andarci”. A Palazzo Vecchio, il vigile dice che “dopo due mandati di Nardella, chiaramente c’è stanchezza. Adesso si tende a dimenticare tutto il buono fatto. E’ fisiologico. Poi è montata questa storia del multificio su cui noi non abbiamo colpa, si aggiunga la solita discordia della tramvia, che ci sarà pure fra mille anni, e capisce perché Firenze può votare il Kaiser Schmidt”. Dario Franceschini è in pena. E’ stato lui, quando era ministro della Cultura, a portare in Italia il Kaiser, a nominarlo direttore degli Uffizi. Lo ha lanciato come il Festivalbar ha lanciato Amadeus. Che ne poteva sapere che quel malfido di Sangiuliano gli avrebbe allungato la carriera? Dopo gli Uffizi lo ha infatti nominato direttore a Capodimonte, stanato da Capodimonte, suggerito: “Eike, i fiorentini vogliono te, corri”. FdI, a Firenze, è ancora destra, destra, ex Fuan, Msi. Donzelli è il prodigio, ma Achile Totaro, ex senatore di An, resta la pelata più amata dal camerata con il bastone. Forza Italia ha un nome grosso, grosso, Marco Stella, vicepresidente del Consiglio regionale, ma Schmidt ha dalla sua otto anni di polemiche contro la sinistra, Nardella, le gru, la sicurezza, e poi è il direttore del record storico di visite agli Uffizi: oltre quattro milioni. Perfetto.
Il Kaiser cede alla lusinga ma mette le carte in tavola, anzi, i crauti: “Garo ministro, grazie ma se va male?”. Per cominciare è andato in aspettativa, ma solo alla fine, il 9 aprile, quando già la voce della candidatura circolava, tanto che il Pd, ora, raccoglie le firme per cacciarlo da Capodimonte. A Firenze si parla del patto Kaiser-Sangiulanontropp. Se va male, per il Kaiser, sarebbe pronta la guida dell’Accademia del Bargello che, con le nuove pecette del ministro ‘o malamente, è ora museo di fascia alta, come gli Uffizi. Fino a prova contraria Sangiuliano è napoletano e non si capisce che c’annasca, si direbbe, cosa c’entri con Firenze. Ha la “franceschinite”, deve dimostrare al mondo che lui è più colto di Franceschini e farsi un pied-à terre a Firenze dove, con una carambola di mossette, è riuscito a nominare, al Maggio, l’ex ad Rai, Carlo Fuortes, facendola passare per una nomina che non voleva. Giancarlo Signorini, fante simpatizzante del Kaiser, di FdI, all’ex Teatro Tenda, la Tenda Kaiser, riconosce che “da uello che ho capito, Sangiuliano ce mette il becco lui in quanto ministro della Urtura”. Sangiuliano gli ha allestito anche il battaglione. Da due giorni nei salotti Frescobaldi, Ginori, Ricasoli, tutta l’aristocrazia fiorentina, che è sensibile al fascino del Kaiser, non si fa altro che parlare di Alessia Galdo, che farà il vicesindaco se il Kaiser trionferà. E’ la figlia del notaio Gennaro Galdo, che Sangiulanontropp ha voluto vicepresidente del Maggio fiorentino (l’altro è Valdo Spini). I grandi elettori del Kaiser, neppure a dirlo, sono queste famiglie, che ancora prendono il caffè nelle porcellane di Meissen e che vivono come “Camera con Vista” di James Ivory. Ci sarebbe poi il Paolo Bambagioni, votatissimo, ex consigliere del Pd, amico di Eugenio Giani, il governatore Pd, ma ora Bambagioni sta in lista con il Kaiser. Tradimento.
Per non parlare del luogo scelto dal Kaiser per aprire il suo comitato elettorale. Ha scelto viale Gramsci. Gli occhioni di Berlinguer sulla tessera del Pd, voluti dalla segretaria del Pd, cosa volete che siano rispetto al Kaiser da Gramsci? Sull’Arno è già una disfatta di sentimenti. Un’altra disfatta, a sinistra, dicono si fosse già consumata con l’elezione di Bernabò Bocca a presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Bocca è presidente di Federalberghi ma è stato senatore di Forza Italia. Sarà il destino ma a Palazzo Strozzi la mostra del momento è “Angeli caduti” del tedesco Anselm Kiefer. Due angeli che vegliarono su Renzi, Marco Carrai, “il Marchino”, e Luca Lotti, conoscono il Kaiser Schmidt come lo conosce il mondo dell’arte intero. Chi faranno votare al ballottaggio? E Renzi? Il tedesco borgomastro di Firenze è l’ultimo prodotto che si vende sui giornali stranieri. Non si contano le paginate del Nyt, siamo già a due in poche settimane, così come le interviste del Kaiser allo Spiegel, una più formidabile dell’altra. Di una si ricorda l’aggettivo “aristotelico” perché il Kaiser si è definito “aristotelico”, ma anche “antifascista”, un po’ Veltroni, ma anche Meloni. Cifre alla mano è il Kaiser la causa della “piaga” di Firenze, l’eccesso di turismo, con i suoi Uffizi modello Ferragni (ricordate il post di fronte alla Venere del Botticelli?). Firenze soffre come Venezia. In città si ragiona sulla “necessità di avere un numero chiuso” e il Kaiser sul turismo pensa che serva una stretta, solo che il Kaiser ve la spiega con queste parole: “Il turismo non è un male, ma se gi sono sempre più minimarket che vendono banini si attraggono i piccioni. E non va bene”. Un tempo quando gli inviati dei quotidiani arrivavano in città erano soliti chiamare il politologo Giovanni Sartori. Oggi è rimasto il medievista Franco Cardini, un eterodosso che ha militato a destra, ma sempre a modo suo, che è un bel modo, con onestà. E’ un amico del Kaiser che chiama “il direttore” e dice subito che è straordinario per Firenze avere un candidato “europeo”, uno che non è fiorentino, ma neppure italiano, “fa onore alla città”. Professore, ma lei lo vota? “Non sarò a Firenze in quei giorni. Lo stimo, lo ritengo un’ottima persona e non voglio che resti nel dubbio. Il candidato è eccellente ma non lo voterei perché non apprezzo la politica estera dello schieramento che lo sostiene. Lo dico consapevole che non mi farò amici”.
Sono sempre gli amici che fanno la fortuna, perfino cambiarci l’umore. Gli amici di Funaro, chi segue la campagna elettorale, sono Marco Agnoletti, il primo portavoce di Renzi, con la sua Jump, e Giovanni Diamanti con Quorum. Il fiorentino che avrebbe fatto la fortuna del Kaiser si chiama Tommaso Galligani, il suo portavoce agli Uffizi che FdI non è riuscita a strappare perché è facile promettere “il paracadute” al Kaiser, ma all’aiutante del Kaiser cosa si può promettere? Un ruolo da assistente parlamentare con Mollicone? Galligani è rimasto agli Uffizi con il nuovo direttore, Simone Verde, di cui, lo si dice con rispetto, i fiorentini non conoscono il viso. Del Kaiser adesso si conosce l’infanzia (“mia nonna solo uldimo giorno mi fege endrare a Uffizi”) si conosce la moglie, anche lei storica dell’arte, Roberta Bartoli, che è la vera angoscia di tutto il centrodestra perché ha il bel caratterino. Si sa pure che il Kaiser fa colazione all’italiana e che, lo ha dichiarato a Mario Neri, il Raffaello del Tirreno, “la tramvia con i pali mi pare un orrore, è antiquata”. Da quando è candidato continua a dire “me lo hanno chiesto i fiorentini” ma glielo ha chiesto anche Giovanni Gandolfo, il prossimo Donzelli di Firenze, vice coordinatore di FdI in città, che al Tenda Kaiser, risponde: “Tedesco lui? Schlein non ha due passaporti, forse tre? Verificatelo”. Il Kaiser è così preciso che una volta volevano pizzicarlo in errore. Aveva dichiarato che a Firenze i quartieri sono 14 e tutti con il dito: “Ha sbagliato, è falso” e lui: “Mi riferivo ai rioni, l’errore è nella traduzione”. E’ così modesto che ripete: “I toscani mi chiamano già sindaco”. Sul nuovo stadio ha dichiarao che è un ibrido, “impossibile da realizzare”, ma nella giuria del progetto uno dei membri era proprio Schmidt. La signora Marta Fiorini lo guarda e dice che è “bello, sodo”. Sarà il muscolo friburghese, vai a capire, ma è vero che i toscani se lo immaginano come “manager”, e che lui ha una memoria d’acciaio: si ricorda anche dell’intervista che ha rilasciato nel lontano 2017. Finora la sola voce critica, contro il suo mandato da direttore, è stata quella della ex soprintendente di Firenze, Paola Grifoni. Sul Corriere Fiorentino, con una lettera, ha smontato l’effetto Kaiser agli Uffizi, i suoi otto anni, la sua capacità di attrarre donatori. Chi ha memoria ricorda il “bidone” che il Kaiser ha rifilato agli austriaci. Nel 2017, lo avevano nominato direttore del Kunsthistorisches di Vienna, e lui? Ha dato “buca”. Il Kaiser aveva rilasciato un’altra delle sue interviste per motivare la decisione di lasciare gli Uffizi. Si trasferiva dicendo che dopo Firenze c’era solo Vienna. Altri sostengono che voleva andare a Vienna perché non si fidava del governo gialloverde salvo ripensarci una volta tornato Franceschini al governo, il famoso “vicedisastro, così lo chiamava Renzi, lo stesso Renzi che adesso potrebbe far vincere il Kaiser al ballottaggio, se solo volesse, perché il Kaiser lo conosce bene e sentite cosa pensa di lui: “Renzi mi appoggerà? Ah quesdo difficile dire. Chiedere a Renzi. Se io sapessi cosa farà Renzi nei prossimi mesi due, io giocherei in Borsa e sarei ricco. Eh, eh”. Alla sua prima uscita da candidato, il Kaiser ha ritardato mezz’ora, si lasciava baciare da tutte le zie dei Boboli. E’ più toscano dei toscani che del “bidone” dato agli austriaci se la ridono, anzi, lo ritengono già valore aggiunto. Kaiser, lui? Icché tu dici?