l'intervista
“La pace va difesa. Serve uno sforzo comune europeo". Parla Cingolani, ad di Leonardo
"Le guerre hanno mostrato le lacune dell'occidente. Davanti a sfide epocali occorrono soluzioni straordinarie come la difesa Ue. Dobbiamo favorire investimenti e fusioni tra aziende europee della sicurezza. La strada è tracciata ma non sarà facile. Draghi? Può ambire ai vertici Ue”, dice l'ex ministro
“Siamo di fronte a un cambiamento epocale. E davanti a scenari nuovi, d’emergenza, servono soluzioni straordinarie: la difesa europea è una di queste. Quello che sta accadendo, dall’Ucraina al medio oriente, ci impone un cambio di passo e ci porta a riconsiderare un assunto che, dopo decenni di relativa tranquillità era dato per scontato, almeno in Europa. La sicurezza non è gratis. La pace va difesa, anche con le armi e la tecnologia, se è necessario”. Roberto Cingolani non usa troppi giri di parole, va dritto al punto. “Purtroppo, e sottolineo purtroppo, a nessuno fa piacere dover parlare di guerra e di difesa. Ma la strada è tracciata”.
In questa intervista al Foglio, Cingolani parte dalle ragioni storiche che portano oggi l’Italia e l’Europa a fare i conti con una certa impreparazione, a cui occorre porre rimedio. Senza troppe illusioni: “Siamo in ritardo, è vero, e certamente non sarà facile perché parliamo di processi estremamente complessi. Quella della difesa non è una questione che si può risolvere per decreto o nel giro di pochi mesi. Non abbiamo gli aerei sullo scaffale”. Cingolani conosce la materia. Quando Vladimir Putin ha deciso di muovere il suo esercito su Kyiv, era ministro della Transizione ecologica del governo Draghi. Oggi è amministratore delegato di Leonardo, principale azienda italiana in materia di difesa.
Professore, perché l’Ue è in ritardo? “C’è una considerazione storico-sociale da cui partire: 70-80 anni di pace hanno consentito all’Europa di vivere in un clima di tranquillità a cui ci siamo assuefatti. Gli altri conflitti erano per noi lontani. Ci sono stati casi di terrorismo che abbiamo vissuto come crepe locali e non come sintomi globali. Abbiamo percepito la pace come qualcosa di assicurato”, risponde Cingolani. “Nessuno si aspettava la mossa di Putin. Quello è stato un brusco risveglio per tutti, che ci ha messo di fronte all’evidenza che la pace va preparata, difesa”.
Una consapevolezza che pian piano sta maturando nelle cancellerie europee. Con le elezioni alle porte il tema di una difesa comune è sempre più al centro delle agende. E’ questa la risposta giusta? “E’ sicuramente l’obiettivo verso cui tendere. Soprattutto ora che gli scenari di guerra hanno evidenziato le lacune. Basti pensare che le nostre forze armate negli ultimi anni sono state impegnate in missioni di pace, fondamentali, ma adesso non si tratta più solo di questo. Serve un approccio nuovo. Questa convinzione sta maturando ed è un aspetto positivo. Ma sempre mantenendo la consapevolezza che si tratta di un sentiero tortuoso”, ammette con realismo Cingolani, prima di evidenziare criticità, e soluzioni, di questo percorso. “Facendo un confronto con gli Stati Uniti, si nota che gli americani investono sicuramente più di noi in difesa, ricerca e sviluppo. Ma soprattutto lo fanno meglio: concentrano cioè gli investimenti su un numero limitato di piattaforme di difesa – siano essi aerei, navi o carri armati – così da avere tecnologie migliori a costi più contenuti”. Nel 2023 il paese governato da Joe Biden ha stanziato oltre 800 miliardi di dollari, mentre la quota per l’Ue si aggira intorno ai 250 miliardi. “In Europa abbiamo invece 27 stati che si muovono in maniera autonoma, ciò significa che l’investimento non è razionalizzato. Oltre a questo, ognuno spende su progetti diversi: se gli americani puntano su una dozzina di piattaforme di difesa, da noi sono almeno trenta. Abbiamo così una spesa frammentata e meno efficace. In questo senso, il discorso dello spazio europeo di difesa ha innanzitutto una valenza tecnologica. Se si creassero delle strutture più grandi, delle joint venture con una politica europea più unitaria più visionaria, potremmo essere più avanzati e quindi più sicuri”. Invece spesso a prevalere è la logica nazionale, domestica. “Convincere gli stati a rinunciare a parte della sovranità non è mai facile. Anche se credo che dopo questa fase qualcosa cambierà, in meglio. Ma – continua l’ad di Leonardo – c’è anche un tema di antitrust che rende difficile realizzare grandi concentrazioni tra industrie. In un momento in cui si parla di guerra però, forse bisognerebbe essere più flessibili e chiedersi quale sia la vera priorità. Dovrebbe essere la sicurezza dei cittadini”.
Un contesto in cui i regolamenti si sommano a problemi strutturali e alla fine finiscono pure per disperdere risorse. “Anche Mario Draghi, nel suo ultimo discorso ha specificato molto chiaramente che l’idea di una difesa unica rende il continente più sicuro e ottimizza lo sforzo finanziario, in modo da aver il massimo del risultato con il minimo del costo per i cittadini. E’ un messaggio fondamentale”. Non è un caso allora che Enrico Letta abbia ricordato che il 75-80 per cento degli armamenti europei venga acquistato da paesi extra Ue. E non lo è nemmeno che il ministro della Difesa Guido Crosetto abbia mostrato una certa preoccupazione in quanto paesi come Russia, Iran o Corea del Nord dimostrano capacità produttive ben maggiori delle nostre. “Questo ci riporta alla necessità delle grandi fusioni tra aziende del settore. Solo così possiamo prontamente reagire ai cambi di scenario. Per quanto Leonardo sia grande, e lo siano anche altre industrie europee, da sole non possono farcela. Sono necessari investimenti comuni”, ribadisce Cingolani.
Nel frattempo l’Italia come si sta muovendo? Sono arrivate indicazioni particolari dal governo? “Come Leonardo siamo sempre in contatto con il ministero della Difesa. Crosetto è una persona estremamente preparata, un ministro tecnico oltre che politico. C'è un grande sforzo per aumentare gli investimenti, per esempio in difesa aerea, tra Gcap, Eurofighter e altre piattaforme. Ovviamente si tratta di investimenti che saranno molto importanti per Leonardo, da qui ai prossimi anni".
A proposito di investimenti, quale sarebbe quello necessario per realizzare la difesa europea? “Stime precise sono difficili, senza una revisione dell’intero comparto industriale. Ma se tutti spendessero il due per cento del pil, che è il requisito di base della Nato, sarebbe già qualcosa. Ci consentirebbe di stare un po’ più sicuri. E attenzione: quel due per cento era stato calcolata quando la guerra vera non era alle porte”, fa i conti il professore, sottolineando come “un’Europa più forte e sicura non è alternativa o in contrapposizione all’alleanza atlantica. Semmai il contrario. Sarebbe un Unione europea più affidabile, più partecipativa e con maggiore peso politico”. Servirebbe un commissario europeo ad hoc. Potrebbe essere proprio quel Mario Draghi che ha citato prima? “L’ex premier è un fuoriclasse, ha le competenze per qualsiasi carica. Ma – conclude Cingolani – proprio per questa sua statura sarebbe quasi sprecato come commissario. Lo vedrei meglio in ruoli più apicali”.