Superbonus e nomine
L'exit del Ragioniere dello stato: Meloni e Giorgetti gli offrono la presidenza di Ferrovie
La trattativa governo-Biagio Mazzotta per liberare la Ragioneria dopo le mancate previsioni Superbonus prevede lo "scivolo". Il nome del possibile sostituto
Il ragioniere dello stato è arrivato alla fermata: il governo vuole mandarlo a Ferrovie. Per liberarsi di Biagio Mazzotta, il funzionario che non ha previsto il buco Superbonus, 147 miliardi di euro (al momento), Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni hanno individuato uno “scivolo” da 238 mila euro l’anno. E’ la presidenza di Fs, società chiamata a rinnovare i suoi vertici. Mazzotta non ha più la fiducia del ministro e adesso c’è una relazione, un documento che, senza nominarlo, condanna il Ragioniere. E’ dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo indipendente che vigila sui conti pubblici. E’ la prima “memoria” sulla più grande truffa della “storia della Repubblica”, definizione di Mario Draghi, ed è spietata. E’ il viaggio al termine di uno sfascio.
Il documento è del 18 aprile. E’ a firma della presidente dell’Upb ed è stato presentato alla commissione Finanze e Tesoro del Senato. Ripercorre nei dettagli l’evoluzione normativa in materia Superbonus, una misura che, parole dell’Upb, ha inciso “marcatamente sui conti pubblici degli ultimi anni, lasciando anche una pesante eredità sul futuro”. Da mesi, la premier e il ministro dell’Economia, hanno “sfiduciato” il ragioniere dello stato, che non avrebbe previsto i costi della misura. A chi, al Mef, gli ha chiesto, “come è stato possibile non prevederlo?”, Mazzotta ha sempre replicato: “I conti non li ho fatti io ma il dipartimento Finanze”. E’ il dipartimento guidato da Giovanni Spalletta. E’ come se il direttore di un quotidiano scaricasse la colpa al caporedattore o un ad al direttore generale. E’ anche vero che Mazzotta, in entrambi i casi, potrebbe rispondere: erano i lettori e gli azionisti a chiederlo. Tutti i partiti hanno sempre difeso questa norma sciagurata. L’altra giustificazione avanzata dalla Ragioneria è che il fenomeno Superbonus fosse “imprevedibile”. Su questo punto l’Upb offre una spiegazione opposta: è stato previsto male. Un’agevolazione nuova si è misurata con strumenti superati. A pagina otto del documento sta scritto che “per la valutazione degli oneri veniva richiamata la Relazione tecnica della norma originaria relativa all’Ecobonus”. E’ una lingua cara al ragionier Mazzotta solitamente usata per bocciare provvedimenti di governo. Ancora, l’Upb: “Il Superbonus, tuttavia, risultava sensibilmente differente dalle agevolazioni di cui si conoscevano gli effetti”. L’aliquota al 110 per cento, unita alla cessione illimitata del credito, ne faceva un mostro completamente diverso dai vecchi bonus al 65 per cento. La sostituzione del ragioniere ora è vicinissima. Il mandato di Mazzotta scade nel maggio 2025 ma un ragioniere dello stato non è un funzionario che si può licenziare e Mazzotta non ha intenzione di dimettersi. Che debba lasciare è però la convinzione di Giorgetti e Meloni e sarebbe stata comunicata a Mazzotta. Comunicata insieme all’offerta. Lauta offerta. Una volta insediato, il governo Meloni aveva teorizzato l’uso del machete contro i burocrati che ostacolavano le decisioni della politica. Era un trucco di scena. Meloni è una donna di maniere. Non usa il machete, ma il sofà. Quando si vuole allontanare una figura scomoda, tacitare un fedele, che non si è riusciti a gratificare, questo governo si serve delle presidenze. All’ex comandante generale della GdF, Giuseppe Zafarana, protagonista di una stagione passata, la premier ha offerto la presidenza di Eni. Un altro. Stefano Pontecorvo, ambasciatore vicino a FdI, che ambiva al ministero degli Esteri, è stato indicato come presidente di Leonardo. E’ una pratica che si ripete con Mazzotta e con il segretario generale del Senato, Elisabetta Serafin, che ricopre quell’incarico dal 2011. Serafin è stata da poco designata come presidente di Saipem. Lascerà l’incarico di segretario, un ruolo a cui punta il vice, Federico Toniato. Per accompagnare Mazzotta alla pensione, liberare la Ragioneria, la casella scelta è quella occupata da Nicoletta Giadrossi-Morel, presidente di Ferrovie. Il suo stipendio è di 238 mila euro, quasi pari al tetto di 240 mila euro per i dirigenti pubblici. Al posto di Mazzotta ci sono almeno tre candidati, più un outsider. La favorita è Daria Perrotta, capo del legislativo del Mef, chiamata da Giorgetti. L’altro nome è quello di Luigi Federico Signorini, direttore generale di Bankitalia. Il terzo è il consigliere economico di Giorgia Meloni, Renato Loiero. L’outsider può essere il direttore generale del Mef, Riccardo Barbieri Hermitte, già capo economista. E’ una figura che conosce la struttura del ministero, figura che con la riorganizzazione è stata controbilanciata da Marcello Sala, dg che si occupa di partecipate. Con una presidenza può dunque concludersi la carriera del ragioniere dello stato, l’uomo che scambiò un buco per un bonus. Come punizione lo premiano con le Ferrovie, che per fortuna non sono più quelle della Prima Repubblica. Per Giulio Andreotti esistevano due tipi di adorabili stravaganti: quelli che si credono Napoleone e quelli che credono di risanare le Ferrovie. Non aveva previsto una terza categoria: quelli che vogliono nominare alle Ferrovie, risanate, l’uomo che per loro avrebbe scassato i conti. Centoquarantasette miliardi di buco, 238 mila euro di stipendio. Al termine dello sfascio, ma in prima classe.