Luciano Violante - foto Ansa

Toghe e bavaglio

Le critiche della stampa ai magistrati e la procura di Firenze. Parla Violante

Marianna Rizzini

"Il dovere di assoggettarsi alla critica è direttamente proporzionale alla quantità di potere che si esercita nel sistema pubblico", dice il magistrato. L'intervista dopo le accuse mosse contro il Foglio

Siamo nel mondo rovesciato in cui il fantoccio del bavaglio alla stampa viene agitato non in questo o in quel partito, ma dalle parti del terzo potere dello stato. I fatti: su questo giornale, il 13 aprile scorso, il nostro Ermes Antonucci scrive un articolo in cui fa notare che il Csm non si è prodigato per ostacolare l’“accompagnamento all’uscita” dei pm fiorentini dall’assalto, nominando anche un nuovo capo della Procura, Filippo Spiezia, considerato vicino alla corrente moderata di Magistratura indipendente. Qualche giorno dopo, lo stesso capo della Procura chiede però al Csm una pratica a tutela (di future simili analisi?). Si impone allora un interrogativo: il diritto di critica è considerato sacrilego per la categoria dei magistrati? E se è il magistrato ad agitare lo spauracchio del bavaglio, perché chi di solito urla “bavaglio, bavaglio” in questo caso tace? La questione è complessa, chiediamo lumi a Luciano Violante, già magistrato, docente di Diritto Penale, a lungo parlamentare Pci-Pds-Ds-Pd, presidente della Camera, oggi presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e del gruppo Multiversity.
 

È opportuno che la magistratura, terzo potere dello stato, chieda di essere tutelata di fronte a un presunto eccesso di critica? “Se l’eccesso di critica è fondato su una menzogna”, dice Violante, “sarebbe giusto chiedere al Csm di tutelare le vittime della menzogna: se si tratta solo di valutazioni, più o meno condivisibili, siamo nell’ambito del diritto di critica giornalistica, tipica di una democrazia. In tal caso non ci sarebbe motivo di chiamare in causa il Csm. D’altra parte chi svolge funzioni pubbliche di rilievo è esposto alla critica per definizione: a volte è sgradevole, ma la democrazia è anche questo, è anche critica al potere, comunque si chiami”. Un magistrato tra l’altro ha un potere molto ampio. “Il dovere di assoggettamento alla critica”, dice Violante, “anche la più sgradevole, è direttamente proporzionale alla quantità di potere che si esercita  nel sistema pubblico. Dopodiché siamo in una fase particolarmente delicata; è in corso il ridimensionamento del magistrato nella società dopo i troppi anni in cui la politica ha rinunciato a esercitare la propria sovranità, che perciò è passata  nelle mani dei magistrati. Una parte della magistratura, abituata a esercitare questa sovranità, si sente oggi particolarmente ferita da critiche, ma se le critiche non sono fondate sulla menzogna, sono ineccepibili. È la democrazia, bellezza, direbbe qualcuno”.
 

Chiedere l’intervento del Csm è sintomo di forza e debolezza al tempo stesso? “Più che altro è un’abitudine, una prassi radicata di questi anni: appena ti criticano chiedi l’intervento del Csm”.  Altro problema a monte: in alcune procure pare di intravedere un accanimento nelle indagini, non supportato poi dai fatti. “Può darsi. Ma è proprio della dinamica del processo penale avere prove che sembrano all’inizio evidenti e poi si rivelano inconsistenti e viceversa. Il magistrato deve sempre usare prudenza, che non è pusillanimità ma uso dei mezzi con calcolo adeguato degli effetti, che è rifiuto dell’abuso”. Si parla sempre di bavaglio, ma quando c’è un magistrato impera il silenzio stampa. “La comunicazione ha responsabilità quando distrugge la reputazione delle persone, dando rilievo all’inizio delle indagini ma tacendo dell’ assoluzione. Non vale appellarsi al diritto. In democrazia non esistono diritti assoluti; ogni diritto trova un limite in un altro diritto. Come per il magistrato, anche per i giornalisti — che non sono esseri angelicati — c’è necessità di stare dentro i limiti costituzionali, e si pone anche per loro l’esigenza del rigore professionale. Se un’inchiesta che è stata a lungo gonfiata dai mezzi di comunicazione si rivela infondata, penso alla Trattativa, bisogna poi dire ai lettori: ‘Scusate, ci siamo sbagliati’”. Come se ne esce? “Ho una sana presa di distanza dall’efficacia ordinatoria delle regole. Le regole possono creare un ordine che è solo illusorio. La persuasione, il buonsenso, il costume, l’esempio creano l’ordine. Diceva Machiavelli: servono le regole, ma anche i buoni costumi. Senza i buoni costumi le regole solo manifesti e quando ci sono i buoni costumi, le regole sono superflue”

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.