Il reportage
“Noi portiamo la verità”. Post-leghismo e filorussi, ecco l'enclave di Putin in Veneto
Una mostra fotografica sul Donbas è il pretesto per riunire tutto il meglio della fauna antisistema: dal consigliere regionale Valdegamberi all'ex leghista Comencini, passando per Cateno De Luca, Roberto Castelli e le associazioni vicine a Mosca. Con tanto di benedizione della chiesa cattolica
Verona. Tutto è preparato a puntino. L’aquila dei Romanov e il leone di San Marco. Le bandiere di Donetsk e Lugansk. Perfino la rievocazione storica: spiccano sul palco uno sciavòn della Serenissima e una milizia civica dalla livrea… gialloblù. “Ocio che sti qua sono i colori scaligeri, mica quelli dell’Ucraina”. Si ride per non piangere. “Questo invece è il vessillo di Dio”: la chiesa ortodossa russa. Ma c’è anche quella cattolica, che fa gli onori di casa. Insieme a ex leghisti ed ex fascisti. Con un po’ di salsa borbonica e residui di berlusconismo. Crossover micidiale. “Sono tre ore che parlo di Crimea, sanzioni contro la Russia e Repubblica di Venezia: ho paura di aver perso il filo”, dice ad un certo punto Stefano Valdegamberi – e al suo posto l’avremmo perso anche noi. Il consigliere regionale eletto in Lista Zaia, ora nel gruppo misto, è tra i grandi promotori dell’evento del sabato: la mostra fotografica “10 anni di guerra in Donbas”, con gli scatti del “reporter di guerra” Vittorio Rangeloni. Dimenticarsi l’opulenza degli zar: l’enclave di Putin in Veneto ha le sembianze di una bocciofila, facce bonarie da circolo arci e raccolte fondi per il quartiere. Solo che sono “per i popoli di laggiù, contro la guerra e le menzogne dell’occidente”.
È uno spaccato sociale interessante, se non altro. Il moderatore della conferenza, gran cicerone, è il già deputato Vito Comencini: pochi mesi fa si era staccato dal Carroccio per fondare Popolo Veneto, di fresco dentro la lista Libertà di Cateno De Luca. Al suo fianco Valdegamberi, appunto, tra le altre cose inviato speciale a Mosca sotto elezioni (“regolarissime”: lo disse pure al Foglio). Poi Palmarino Zoccatelli, presidente dell’Associazione Veneto-Russia. E Lorenzo Berti, pari ruolo – poi ci torniamo – della neonata Vento dell’est promotrice dell’incontro. I quattro attendono il silenzio dei presenti, circa un centinaio: anziani, giovani coppie, perfino bambini. Prima però serve la benedizione. Letteralmente: è il momento di don Paolo Poli, dalla diocesi di Verona. Canonico formulario in latino, inquietante impromptu in vernacolo. “Come diceva Chesterton, la fede cattolica è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”, le parole del prelato. “Chiunque cerca Cristo e la verità arriva alla luce. E in un mondo oscurato dalle tenebre della ragione e della fede perduta, soprattutto in una realtà sociopolitica come quella del Donbas, noi portiamo la verità”. O quanto meno Pravda, oggi Russia Today (presente all’appuntamento veronese).
È la parola del giorno, ‘sta benedetta verità. “Ed è la battaglia che stiamo facendo”, spiega Comencini. “Raccontare il perché di questo sistematico insabbiamento: da troppi anni cerchiamo di mostrare cosa succede e i media occidentali lo nascondono”. Ecco allora il messaggero diretto, accolto da un’ovazione: un po’ a sorpresa, il fotografo Rangeloni non è in collegamento dal Donbas. Ma dal Burkina Faso. “Tutto ciò è interconnesso: lo scontro ormai va ben oltre i confini dell’Ucraina. E nel Sahara occidentale vi sono grandi cambiamenti in corso, dopo la chiusura delle basi americane e francesi. Come nel Donbas, sto incontrando popoli fieri che combattono per il proprio territorio e la propria libertà”. Come nel Donbas, con il supporto economico e militare del Cremlino. “Cerco solo di rappresentare la realtà col mio lavoro”. Era il 2015 quando Rangeloni, all’epoca geometra 24enne, lasciò l’Italia alla volta di Lugansk. A ispirarlo le storie della madre, russa con nostalgie sovietiche. Ad accoglierlo il ministero dell’Informazione dell’autoproclamata Repubblica popolare. “Porto queste foto di una guerra sanguinosa e ingiusta”. Ritraggono vittime, macerie, aiuti umanitari portati dall’Associazione Vento dell’est. “Dall’altra parte della barricata ci sono persone semplici che condividono tanti nostri valori. Mentre Maidan è un progetto di destabilizzazione anglosassone, in Ucraina hanno messo al bando i partiti, il popolo è imbavagliato. La Russia non è il mostro che vuole assoggettare i suoi vicini di casa”. Basta così.
Il pathos oratorio prende il largo con Valdegamberi. “Negazionisti e demagoghi saranno gli altri”, attacca il consigliere. “Sono stato in Crimea, dove hanno sabotato la sovranità popolare. Stessa storia nel Donbas”. Un pannello della mostra rivendica con orgoglio, perfino in grassetto, quel 99 per cento di voti per la riunificazione con la Russia. Beata democrazia. “Ma il diritto internazionale ha un duplice standard a seconda della convenienza. Nessuno laggiù mi ha mai parlato di occupazione russa: siamo noi ad averli discriminati, dando per buoni i cowboy e per cattivi gli indiani”. In preda all’impeto gli si stacca il microfono. “Ostrega: me l’han sabotato gli americani”. Le comiche, nonostante tutto. Zoccatelli è la spalla ideale. “Il qui presente Comencini è stato fra i primi a unirsi alle nostre delegazioni a Donetsk, nel 2015. Ricordo che eravamo in mezzo alle rovine di aeroporti, paesi, scuole: Vito, gli dicevano le guide, tu che sei alto cerca di star giù, altrimenti i cecchini ti vedono”. Pronta la medaglia al merito. “Sono 10 anni di guerra terroristica del governo ucraino contro i civili: Mosca è intervenuta forse con eccessiva pazienza. E oggi è in ballo uno scontro ideologico e di civiltà: da una parte la Russia, che ha riscoperto il suo passato tradizionale e cristiano, dall’altra la deriva occidentalista della società post-liberale. Scegliamo da che parte stare, depennando il Tg2 e informandoci sui canali alternativi”. Gli fa eco Berti: “Soltanto Calenda può credere che l’Ucraina vincerà. Il piano occidentale è fallito, la produzione russa è alle stelle e ormai si sta affermando un mondo multipolare che non permette più agli Stati Uniti di essere gli sceriffi assoluti. Purtroppo noi italiani siamo i più servi fra i servi. Il nuovo ordine globale si verificherà soltanto con la sconfitta della Nato, se Dio vuole al più presto”.
Dopo un’ora di sproloqui gira la testa. Un abbaglio, forse: Roberto Castelli in platea. “Sì, stasera era importante essere qui”. Ma come, ministro, possibile? Che c’entra lei con questo mondo? “Bisogna unirsi tutti, se no non contiamo”, dice l’ex guardasigilli al Foglio, in disparte. “Vedete cosa c’è scritto alle mie spalle?” Eccome: ‘da sempre la gloriosa bandiera con il leone di San Marco rappresenta il Veneto, quelle di Salvini di certo no!’. “Non devo aggiungere altro. La vera Lega siamo noi su questo palco, non l’operazione Salvini premier”. Dicono così anche gli zaiani, che tuttavia rifuggono con fermezza l’ambaradan filorusso. “C’è ancora chi crede di poter cambiare il Carroccio dall’interno: ingenui”. Castelli sfoggia la sua nuova spilla: Partito Popolare del Nord. “Non rinnego nulla di Bossi, del mio leghismo. Ma ora ci battiamo per appoggiare un’altra Europa e cambiare le cose”. Dalla Sicilia arriva pure De Luca, catalizzatore del mosaico antisistema: ascolta in silenzio, da ospite educato, mentre Comencini continua a darsi da fare. Lo intercettiamo vicino alla bandiera della Repubblica popolare di Donetsk. “Per me la Lega non esiste più”, taglia corto l’ex deputato. “Abbiamo un ampio progetto, a partire dalle europee. E sull’asse Verona-Taormina recupereremo le battaglie identitarie abbandonate dal Carroccio, per portarle a Bruxelles”.
Sul retro del capannone, rende bene l’idea il mercatino di libri. Bestiario scelto: dal generale Vannacci – tanto inviso agli altri venetisti – alla storia di Verona, da Ivanka Trump alla narrativa anti-Nato. Passando per le barzellette sulla Lega Nord. Vicino altre due bancarelle, dove alcune collaboratrici russe di Vento dell’est vendono gadget e cimeli del Donbas. Il fondatore Berti sorride serafico: “Esistiamo da un anno ma godiamo di popolarità trasversale: la nostra associazione va dalla tutela culturale di questi popoli alle missioni solidali in loco”. Con quali fondi? “Autofinanziamento”, risponde lui, mentre dà il resto a un ragazzo con in mano il vessillo di Donetsk. “Siamo una cinquantina di attivisti regolari, il resto è raccolta fondi e promozione di eventi. Anche insieme a profili di segno politico opposto, ma accomunati dalla lotta alla russofobia”. Berti in Toscana conta una densa militanza tra le file di Casa Pound. Oggi tenderebbe la mano a Michele Santoro e compagnia? “Perché no”. Sono il rosso e il nero che fanno felice Putin. Mai nominato, nel lungo pomeriggio veronese. Eppure assordante, mentre dal pubblico si alza un localissimo grido: “Par tera e par mar, San Marco!”. Poveri dogi, che triste sopruso.
L'editoriale del direttore