(foto Ansa)

Un libro

“Meloni ha vinto e il neofascismo ha perso”. Parla Marco Tarchi

Nicola Mirenzi

Nel suo ultimo libro il professore emerito dell'Università di Firenze racconta la storia che parte dal Movimento sociale e arriva fino a Fratelli d'Italia

Sostiene Antonio Scurati, nel monologo censurato dalla Rai, che Giorgia Meloni aveva davanti a sé due strade quando è arrivata al governo: “Ripudiare il suo passato neofascista, oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via”. Dice, invece, Marco Tarchi al Foglio, che “se la storia è quella monca e caricaturale che Scurati e altri come lui si affannano a scrivere sotto dettatura della propria ideologia, contrastarla e rivederla sarebbe un atto encomiabile, a patto di non proporre contraffazioni di segno opposto. Ma temo che la destra non abbia né le qualità né il coraggio per farlo”. La storia che parte dal Movimento sociale e arriva fino a Fratelli d’Italia, Tarchi la racconta nel suo ultimo libro, Le tre età della fiamma (Solferino), scritto in forma di intervista con il giornalista del Corriere della Sera Antonio Carioti. La conclusione a cui giunge è opposta a quella di Scurati, il cui ultimo pamphlet, Fascismo e populismo, considera “un vero insulto alla ricerca scientifica”. Secondo Tarchi, Giorgia Meloni ha vinto, ma il neofascismo ha perso. “L’Msi – dice – aveva accettato le istituzioni democratiche già negli anni Cinquanta, quando era prevalso il motto: ‘Non rinnegare, non restaurare’. Da allora in poi, la vera battaglia missina era stata quella sulla memoria, sul tentativo di far accettare la visione del fascismo che aveva chi non lo aveva rinnegato o combattuto dopo il 25 luglio 1943. E quella partita il neofascismo non è riuscito a vincerla. Tant’è che i suoi eredi si sentono costretti a prenderne le distanze per non perdere il capitale di legittimazione che sono riusciti a conquistare”.
 
Professore emerito dell’Università di Firenze, politologo, dal 1968 al 1982 Tarchi è stato anche militante e dirigente del Movimento sociale, un punto di riferimento negli anni più creativi della storia missina, quando – erano gli anni Settanta – dai giovani partì un tentativo di sfidare l’ortodossia almirantiana a suon di fanzine satirico-politiche (“La voce della fogna”), riviste (“Elementi”), relazioni intellettuali (Alain De Benoist), slanci letterari (Tolkien). “Tutte cose che per qualche tempo ammodernarono l’ambiente, prima di essere messe al bando dal conformismo dei vertici”, dice Tarchi con amarezza. Nel partito vigeva una tenace pregiudiziale anti intellettuale, enunciata con fierezza da Maurizio Gasparri. “Noi di destra, rispetto alla sinistra, abbiamo meno professori. E dunque meno scemi in giro”. La cultura era vissuta come un optional. Mentre oggi è una bandiera della rivincita dei Fratelli d’Italia contro l’egemonia della sinistra. “Le condizioni per una controffensiva culturale cominciano a esserci”, dice Tarchi. “Di fronte al dilagare, specialmente nelle strutture educative, di visioni e pregiudizi progressisti, chi non li condivide dovrebbe mettere in campo princìpi e valori in grado di reggere il confronto. Ma non vedo, per adesso, né le idee né le menti adeguate a sostenerla seriamente. Occupare posti nelle istituzioni culturali non significa fare cultura”.
 
Il giudizio di Tarchi è duro su Gianfranco Fini, l’uomo che ha lanciato Meloni prima alla guida di Azione giovani, poi alla vicepresidenza della Camera, infine come più giovane ministra del quarto governo Berlusconi. “Fini non ha prodotto alcuna autentica innovazione nel suo ambiente politico. Si è limitato ad adeguarsi alle circostanze. Ha avuto senso tattico ma nessuna visione strategica, dall’inizio alla fine della sua avventura”. Secondo Tarchi, dall’esperienza finiana Meloni ha appreso quanto possa essere controproducente assecondare le richieste di autodafé degli avversari. Oltre quella di dirsi antifascista, periodicamente emerge quella sulla fiamma. “La parte di opinione pubblica che le chiede di toglierla dal simbolo di FdI”, dice, “è composta nella quasi totalità da persone che quel partito non lo voterebbero mai, e che si accontenterebbero della soddisfazione di costringere l’avversario vincente a piegarsi a un loro desiderio. Non le farebbe guadagnare un solo voto, e, anzi, probabilmente qualcuno glielo farebbe perdere”.
 
Dice Tarchi che Giorgia Meloni ha “senso dell’opportunità” politica. Ma “deve stare attenta a spostarsi troppo verso il centro, a mostrarsi nei fatti più liberale che conservatrice”. Ha già lasciato il populismo alle spalle. E più di così rischierebbe di farsi percepire assorbita dalla “casta”. E’ Conte o Schlein il vero avversario di Meloni? “Senz’altro il capo dei 5 stelle” risponde Tarchi. “Anche se difficilmente rinverdirà i successi dell’era grillina. Mentre Schlein è la sua avversaria ideale, il suo specchio cortese: le rimanda l’immagine della concorrente che avrebbe sempre voluto avere, quella che incarna idee così diametralmente opposte alle sue da scongiurare il rischio di poterle cedere anche solo l’uno per cento degli attuali elettori del centrodestra”.
 
A un certo punto, irrompe nella storia della destra anche il generale Vannacci. Secondo Tarchi il suo vendutissimo libro, Il mondo al contrario, è un “breviario del pensiero conservatore-populista”. Idee che non dispiacciono affatto a gran parte degli elettori di Meloni. “Ma la smania di apparire più politicamente scorretto di chiunque altro rende Vannacci del tutto incompatibile con il profilo che Fratelli d’Italia, e in primo luogo la sua presidente, vogliono darsi”. A desiderarne la candidatura, infatti, è Salvini. Con il quale, secondo Tarchi, Meloni è destinata a convivere, facendo prevalere “una logica di divisione del lavoro”: più misurata l’una, più arrembante l’altro. Secondo Tarchi, è questo ciò che sta succedendo nell’approccio dei due a Donald Trump, candidato repubblicano alle prossime elezioni americane. La presidente del consiglio non si espone. Anzi dicono che segretamente si auguri la sconfitta. Invece, Salvini è schierato in curva. “Meloni ha sempre tifato apertamente per Trump, prima e durante la sua presidenza”, dice Tarchi. “Ed è scontato che, oggi, debba interpretare la parte del capo di governo fedele al potente alleato”. Di qui gli ottimi rapporti con Biden. “Ma se Trump tornerà alla Casa Bianca”, prevede, “non mancherà, e non solo in cuor suo, di rallegrarsene”.

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