Il caso

Niente Schlein nel simbolo Pd: "Lo facevo per i follower". E ora la leader lancia i manifesti col suo volto

Simone Canettieri

La retromarcia della segretaria dopo la rivolta del suo partito. Così i simboli depositati al Viminale raccontano la vita interna dei grandi partiti

Per evitare di andare sotto nel suo partito, ha preferito attaccarsi alla borraccia dell’acqua, deglutire e rimangiarsi tutto. Compagne e compagni, come non detto. Con cinque sorsate durante la diretta Instagram Elly Schlein fa marcia indietro: non ci sarà il suo nome sul simbolo del Pd. Nonostante domenica avesse “usato” l’idea concordata con Stefano Bonaccini, poi  stroncata da gran parte degli interventi durante la direzione. Uccellata – per dirla alla Gianni Brera – da tutti i big della maggioranza che la sostengono, la segretaria alla fine ha mollato la presa. Niente nome e nemmeno l’ipotesi di candidarsi come capolista in tutte le circoscrizioni (sarà presente invece solo nelle isole e al centro). Per l’intera   mattinata la leader, chiusa al Nazareno, ha registrato le prese di posizione contrarie a questa ipotesi. Per ultima quella di Lucia Annunziata, la capolista civica schierata al sud. Ha sventolato così bandiera bianca, nonostante Igor Taruffi fino all’ultimo le dicesse: andiamo avanti.  


L’idea è nata nel circolo ristretto della segretaria, fra giornalisti amici e comunicatori, che volevano sfruttare il fattore follower. “Quando Elly fa un’iniziativa pubblica c’è un 30 per cento di persone che viene solo per lei e che non è del Pd”, è stata la motivazione che ha portato al tentativo, poi naufragato. Dopo l’annuncio della ritirata la linea del Nazareno è stata quella di minimizzare: lei è contro il partito leaderista, è stata la prima ad avere dubbi e altre verità alternative che si dicono in questi casi. Schlein invece domenica era convinta, ha provato il blitz, complice l’assist concordato con Bonaccini, ma tutto il partito (compresa la segreteria e i grandi vecchi dem, da Prodi a Franceschini) le hanno detto di no. Così alla fine ha cambiato idea, spinta dalla situazione. E durante la diretta Instagram – che ricordava quella in cui fece il nome della squadra appena eletta alle primarie – ha passato gran parte del tempo a leggere le liste dem, a immagine e somiglia della leader. Senza alcuna sorpresa. Se non il ruolo di Nicola Zingaretti, numero due nel centro Italia, che assume la parte di vice Elly, alla stregua di Francesco Boccia, per come la segretaria lo ha presentato. Questa volta la presentazione dei simboli al Viminale – di solito spazio di “strano ma vero” della politica con i partitini più strani che si godono un po’ di notorietà – è diventata la radiografia delle grande famiglie politiche.

Fratelli d’Italia ha il nome di Giorgia Meloni più grande della fiamma e del partito. Matteo Salvini nonostante le critiche, e il momento non proprio esaltante, non si muove dallo scudetto leghista. Forza Italia usa la forza del brand Silvio Berlusconi come El Cid campeador    , Giuseppe Conte ostenta la pace, nel tondo del M5s, facendo capire che tutti gli altri invece si battono per la guerra. Ma la storia di Schlein è indicativa. Adesso il Pd farà partire una massiccia campagna di manifesti 6x3 con la sua faccia, a parziale recupero della mancata occasione. Fuori dal Nazareno un vecchio dirigente rideva: “Quando facciamo le liste è sempre così e c’è sempre un sondaggista che tenta il suicidio”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.