Voci contro l'estremiso
Ascesa di una nuova star dell'anti populismo: Fabio Panetta
Contro l’estremismo, gli anti europeisti e i demagoghi. Un po’ Draghi, un po’ Mattarella. Così il governatore di Bankitalia si sta affermando come argine inaspettato alle politiche estremiste
Nella stagione dei moniti istituzionali, oltre a Sergio Mattarella, c’è una voce che, lentamente, si sta affermando sempre di più come un argine inaspettato alle politiche estremiste. E’ una voce che, rispetto al capo dello stato, interviene con meno continuità, misurando ancor di più le parole, selezionando le occasioni in modo certosino, scegliendo con abilità i momenti adatti per parlare. Ma quando lo fa, quando parla, quando sentenzia, i giudizi sono taglienti, le indicazioni sono chiare e i posizionamenti sono forti. Di là, sul Colle più alto, c’è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che da molti mesi non perde occasione per tirare le orecchie ai professionisti dell’estremismo. Di qua, a trecentocinquanta metri scarsi dal Palazzo del Quirinale, in Via Nazionale numero 91, c’è un’altra importante figura istituzionale che ha scelto di inserire nel dibattito pubblico le proprie idee e che in appena cinque mesi di tempo è riuscito a fare quello che non è riuscito in centoquarantaquattro mesi al suo predecessore: schierarsi con forza contro l’estremismo politico arrivando a bollare il sovranismo come un pericolo per l’Italia.
Da quando è arrivato al vertice di Palazzo Koch, Fabio Panetta, governatore di Bankitalia, ex membro del board della Bce, ex direttore generale di Bankitalia, ultimo dei draghiani a essere rimasto sulla cresta dell’onda nonostante la fine almeno momentanea della stagione del draghismo, è intervenuto pubblicamente sette volte e in ciascuna di queste occasioni ha offerto spunti utili per riflettere attorno a un tema simmetrico rispetto a quello affrontato negli ultimi mesi dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: argini contro l’estremismo. Nel mondo economico e non solo. L’ultima occasione è stata ieri, a Roma, all’Università Roma Tre, durante il conferimento di una laurea honoris causa a Panetta, e di fronte a un pezzo importante della classe dirigente italiana, in primis quella che è passata sotto l’ombrello di Bankitalia e che è stata a lungo coccolata dall’ex premier Mario Draghi, il successore di Ignazio Visco ha offerto ragioni per riflettere intorno a un tema attuale: come si fa a riconoscere un estremista in politica. Panetta ha elogiato la globalizzazione, spiegando perché è quando il mercato entra in sofferenza che la pace viene messa in discussione. Ha ricordato che le restrizioni al commercio – dazi, sovvenzioni, vincoli alle esportazioni e agli investimenti esteri – hanno contribuito ad alimentare l’instabilità nel mondo. Ha spiegato che, in una fase come quella che stiamo vivendo oggi, la pace va difesa anche con le armi, anche aumentando il bilancio militare, e coordinandolo meglio in Europa. Ha ricordato che per difendere la propria sovranità i paesi membri hanno bisogno di cedere un pezzo della propria sovranità all’Europa per avere politiche di bilancio più forti, programmi di spesa su scala comunitaria migliori, politiche fiscali europee degne di questo nome. Ha ricordato quanto sia importante avere più immigrati per rispondere alla richiesta della manodopera delle imprese. E ha ricordato quanto siano pericolosi, oggi, i protezionismi per il futuro dell’Europa: occorre “rafforzare l’economia europea lungo tre direzioni principali: riequilibrando il suo modello di sviluppo; garantendo la sua autonomia strategica; adeguando la sua capacità di provvedere alla propria sicurezza esterna e potenziando il suo ruolo nel dibattito internazionale”.
“L’obiettivo non è contrapporsi ad altri o chiudersi all’interno dei confini domestici, ma acquisire forza per contribuire alla concorrenza, all’integrazione e al dialogo tra paesi”. Il discorso di ieri di Panetta, che trovate pubblicato oggi sul Foglio, è solo l’ultimo di una serie, l’ultimo dei tasselli di un pensiero che, simmetricamente a quello del presidente della Repubblica, sta offrendo alla politica gli strumenti per smascherare le politiche estremiste. Riavvolgiamo il nastro e proviamo, con pazienza, a comporre il mosaico. Il primo discorso di Panetta risale allo scorso 23 novembre ed è dedicato a una grande passione del governatore: l’euro digitale. Panetta segnala il rischio di potenziali turbative causate da poche grandi società tecnologiche che ambiscono a dominare il mercato dei pagamenti e spiega perché, per evitare queste problematiche, vi sono evidenti vantaggi che se venissero veicolati da un investimento politico sull’euro digitale sarebbero ancora maggiori. Il discorso è tecnico ma contiene ingredienti politici chiari: l’introduzione dell’euro digitale, dice Panetta, avrebbe “un ruolo fondamentale soprattutto nel promuovere la concorrenza, tutelare la privacy e rafforzare la stabilità”. Sintesi: “E’ inevitabile che le piattaforme tecnologiche – forti di un numero di clienti assai ampio e di una elevata capacità di elaborazione di dati – in futuro estendano la propria attività ai servizi finanziari, al fine di attrarre nuovi clienti e con il rischio di ridurre la concorrenza”. Con un euro digitale, dice Panetta, le istituzioni monetarie europee avrebbero la possibilità di tutelare quello che è uno dei più importanti valori che deve custodire una democrazia, per promuovere contemporaneamente diritti, benessere, opportunità: la concorrenza. Il secondo discorso arriva pochi giorni dopo, a fine marzo, ed è un discorso all’interno del quale Panetta prova a spiegare, prima di tutto al governo, per quale ragione legiferare con intenti punitivi nei confronti delle banche non è solo sbagliato ma è semplicemente autolesionistico.
Dice Panetta: “La positiva situazione delle banche conferisce stabilità all’intero sistema finanziario italiano. E’ un punto di forza per l’economia nel suo complesso, come hanno espressamente sottolineato primarie agenzie di rating internazionali nei giudizi formulati di recente sull’Italia”. A questo poi il governatore di Bankitalia aggiunge un’indicazione chiara, che si lega a una direzione che il governo dovrebbe adottare ragionando sul futuro: per “scongiurare il rischio di tornare agli insoddisfacenti tassi di crescita degli ultimi due decenni” occorre fare “leva sui segni di vitalità economica emersi sinora”. Panetta nota che l’aumento degli investimenti di questi mesi non ha riguardato soltanto quelli in costruzioni, che dal 2021 sono stati alimentati da agevolazioni fiscali assai ampie, ma ha riguardato anche un contributo importante che vi è stato nella spesa per macchinari e beni immateriali. Il rilancio dell’economia italiana, dice, passa da qui e “passa per un sentiero che va dagli investimenti alla produttività e quindi alla crescita”. Non si cresce se non si tutelano le banche, non si cresce se non si agevolano gli investimenti in beni immateriali, non si cresce se non si sarà in grado di “aumentare il prodotto per unità di lavoro”, sapendo che la produttività di un sistema dipende da molteplici fattori quali “la qualificazione della forza lavoro, il funzionamento del sistema finanziario, il grado di concorrenza, le regole del mercato del lavoro, il funzionamento dell’amministrazione pubblica, in particolare nel campo della giustizia” e ricordando che non fare qualcosa per intervenire sul debito significa voler sottrarre “risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo”; significa voler accrescere “il costo dei finanziamenti per le imprese private, riducendone la competitività e l’incentivo a investire”; significa voler rendere “la nostra economia e in ultima istanza l’intero paese vulnerabili ai movimenti erratici dei mercati finanziari”. Meno alibi sulla crescita, meno demagogia sulle banche, meno silenzi sulla produttività, più sostegni alle imprese non facendo leva sulla politica dei sussidi ma facendo leva sulla politica degli incentivi all’innovazione.
Il terzo intervento del governatore è stato a febbraio ed è un intervento che indica al governo un problema reale: l’economia italiana offre segnali migliori rispetto alle attese, “il pil è oggi 3,6 punti percentuali superiore a quello della fine del 2019, contro 1,8 punti in Francia e 0,1 in Germania”, “anche il mercato del lavoro ha recuperato i livelli pre-crisi”, “nel 2023 il numero degli occupati è aumentato dell’1,9 per cento, raggiungendo il livello più elevato da molti anni, così come il tasso di partecipazione”, “si sono diffuse forme contrattuali stabili”, ma senza dare certezze “agli investitori su una traiettoria discendente del debito pubblico” si rischia di non sfruttare un’occasione propizia, per l’Italia, che meriterebbe di essere colta non giocando con il debito pubblico ma “stimolando gli investimenti in grado di accrescere l’innovazione e la produttività”. Il quarto intervento è del 15 marzo ed è un manifesto economico del pensiero alternativo al trumpismo. Panetta nota che “il rallentamento del commercio internazionale rischia di trasformarsi in un vero e proprio processo di ‘deglobalizzazione’ foriero di rischi assai elevati, soprattutto per le economie strettamente integrate negli scambi internazionali come quelle dell’Italia e della Ue”. Aggiunge che “una crisi del sistema di cooperazione e dell’assetto multilaterale della governance mondiale limiterebbe la capacità di rispondere a questioni globali come il cambiamento climatico e i rischi di pandemie”. E ricorda, a chi fa finta di nulla, che “gli effetti negativi di una deglobalizzazione disordinata oltrepasserebbero il campo strettamente economico. Essi finirebbero per ripercuotersi negativamente sulle relazioni politiche, la cooperazione, la pace”.
Il quinto intervento è del 25 marzo, in occasione dei 150 anni della nascita di Luigi Einaudi, ed è forse questo l’intervento più politico fatto dal governatore di Bankitalia dall’inizio del suo mandato. E’ qui che richiama il valore della “concorrenza quale motore dell’imprenditorialità, dell’innovazione e infine dello sviluppo”. E’ qui che invoca il ruolo dello stato nel favorire “una concorrenza regolata e moderata dallo stato, al quale spetta di rimediare ai fallimenti del mercato”. E’ qui che ricorda alla politica “la necessità di porre limiti precisi all’intervento dello stato nell’economia”. E’ qui che, affrontando un tema che sarebbe opportuno venisse affrontato anche dal presidente della Repubblica, ricorda che “tanto più il percorso di riduzione sarà credibile, tanto minore sarà la compensazione che gli investitori richiederanno per detenere il nostro debito”. E tanto più “questo aumenterà a sua volta gli spazi di manovra per interventi fiscali di natura sociale e per fronteggiare future situazioni impreviste”.
Panetta conclude il suo ricordo di Einaudi non in modo accademico ma offrendo un’indicazione chiara su quella che dovrebbe essere una politica decisa a combattere trasversalmente le oscenità del sovranismo: Einaudi, ricorda Panetta, “contrappone al mito della sovranità assoluta la necessità della cooperazione imposta dalla crescente interdipendenza”, e dice: “La verità è il vincolo, non la sovranità degli stati. La verità è la interdipendenza dei popoli liberi, non la loro indipendenza assoluta”. Sintesi politica di Panetta: un paese con la testa sulle spalle è quello che fa di tutto per “favorire una concorrenza priva di eccessi; gestire con prudenza le finanze pubbliche, impegnandosi per stimolare la crescita e ridurre il debito; preservare la stabilità monetaria; spostare il concetto di sovranità dal livello nazionale in favore di un’Europa più forte, aperta e solidale, che conti nel mondo”. Combattere l’estremismo, il nazionalismo, il populismo, le politiche anti mercato, le tendenze anti europeiste aprendo il mercato, scommettendo sulla concorrenza e smascherando gli impostori dell’europeismo (anche tra i rigoristi). Draghi più Mattarella uguale Panetta. In bocca al lupo.