Passeggiate romane
Il gran caos sul nome di Schlein ha mostrato i veri equilibri del Pd
Da Franceschini a Orlando fino a Boccia, per ragioni diverse in tanti hanno storto il naso di fronte all'idea della segretaria in vista delle europee. Ma anche tra i bonacciniani non mancano le differenze
Il correntone di maggioranza che sostiene Elly Schlein si è diviso in tre. Colpa della proposta del nome della segretaria nel logo elettorale per le europee, che ha visto spaccarsi e litigare anche i big del Partito democratico che hanno contribuito all’elezione della leader. Una parte del correntone (Dario Franceschini e Andrea Orlando, tanto per fare due nomi) era contraria sia all’idea di inserire il nome di Schlein nel simbolo sia alla sua candidatura. E alla fine era disposta ad accettare un compromesso di minima: la segretaria candidata in due circoscrizioni.
Un’altra parte di quell’area, quella dei suoi fedelissimi (Igor Taruffi e Marta Bonafoni per citarne due) era favorevole alla proposta di mettere il nome nel simbolo e nel giorno della rinuncia tifava ancora per questa soluzione, suggerendo a Schlein di non fare retromarcia. Infine, una terza fetta del correntone di maggioranza (Marina Sereni e Francesco Boccia, per esempio) riteneva inopportuna l’idea di inserire il nome della leader nel simbolo, non tanto per una questione di principio ma perché subodorava quello che sarebbe poi successo, e spingeva invece Schlein a candidarsi dovunque e a non accettare il compromesso delle sole due candidature. Morale della favola, con il correntone diviso in tre e con Romano Prodi che cannoneggiava dall’esterno contro la segretaria, l’operazione è fallita miseramente.
Ma se la maggioranza non è quel monolite compatto che era all’inizio, anche la minoranza ha i suoi problemini, che sono affiorati tutti nella stessa occasione. I “bonacciniani” di stretta osservanza, cioè il presidente dell’Emilia-Romagna medesimo e il suo braccio destro Davide Baruffi, erano assolutamente d’accordo con la proposta di mettere il nome della segretaria nel simbolo. Il loro obiettivo principale, infatti, era quello di non consentire a Schlein di candidarsi in tutte le circoscrizioni, come la leader originariamente aveva intenzione di fare, inclusa quella del nord-est dove si presenta Bonaccini. E questo spiega il fatto che nella segreteria che ha preceduto la Direzione il sempre combattivo Alessandro Alfieri non abbia opposto un fuoco di sbarramento alla proposta. Alfieri infatti è assai legato al presidente del Pd. Ma il resto della minoranza la pensava in maniera diametralmente opposta e si è molto inquietata perché ha avuto l’impressione che Bonaccini avesse giocato una partita in proprio, badando solo ai suoi interessi e non a quelli dell’area. Ragion per cui nel mirino della minoranza è finito il povero Baruffi, accusato di aver trescato con il compagno di tante disavventure, Igor Taruffi. Ma si scrive Baruffi e si legge Bonaccini. Del resto, il fatto che la minoranza non sia una falange compatta al pari della maggioranza del partito lo dimostra il doppio registro dei rapporti che la segretaria del Pd intrattiene con quell’aera. Da una parte, Schlein parla con Bonaccini perché è convinta di trovare minori resistenze da quella parte, dall’altra ha un canale di comunicazione aperto con Lorenzo Guerini, perché capisce bene che se non convince l’ex ministro della Difesa difficilmente avrà tutta la minoranza dalla sua quando si tratta di scelte cruciali.
Ha stupito un po’ tutti nel Partito democratico la veemenza con cui Romano Prodi ha ripreso la segretaria su due punti importanti. La sua candidatura e il nome nel logo. In tanti si interrogano sul perché l’ex leader dell’Ulivo abbia deciso di agire in questo modo. I più maliziosi di fronte a questo interrogativo rispondono: “Evidentemente vuole qualcosa che Elly non gli ha voluto dare”. Già, ma cosa? I più benevoli, invece, spiegano l’atteggiamento di Prodi con lo scarso feeling che c’è tra i due e ricordano che infatti alle primarie l’ex leader dell’Ulivo non votò Schlein ma Bonaccini.