Il retroscena

Cosa c'è dietro la strana tregua fra Meloni e Salvini, dopo un anno e mezzo di baruffe

Simone Canettieri

Finiti distinguo e sgambetti, i leader della Lega e di FdI hanno siglato un patto con vista sulle elezioni europee. Finché dura

Quanto duri non si sa. Di sicuro però da qualche giorno il racconto dei rapporti politici fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni ha registrato una tregua. Il capo della Lega sembra aver riposto i distinguo, le stoccate, la ricerca di visibilità parlando (o facendo parlare) contropelo rispetto al governo. Anche i piccoli e grandi dispetti parlamentari – termometro del rapporto fra i leader – hanno avuto un arresto. Certo, ieri la maggioranza in commissione Affari costituzionali è andata sotto su un emendamento del M5s (che sarà rivotato), ma il motivo, spiega chi si occupa del pallottoliere, va ricercato di più nelle assenze scoordinate dei leghisti. Nessun messaggio politico anche perché era in esame il ddl Autonomia, caro a Salvini.  

La tregua è funzionale alle europee o forse è il frutto delle faccende interne che stanno sbrigando in queste ore “Giorgia” e “Matteo” per chiudere le liste elettorali.  I segnali di distensione da parte di Matteo Salvini non sono mancati negli ultimi giorni. A Strasburgo, per esempio, la Lega alla fine si è astenuta sul Patto di stabilità, anche se meditava da giorni il voto contrario (come il M5s). Sulla vicenda Scurati, Salvini non si è espresso, forse perché Giovanni Alibrandi, vicedirettore degli Approfondimenti, è uomo non sgradito al Carroccio. In cambio Salvini è riuscito nelle ultime settimane a ottenere segnali importanti da Meloni sul futuro dei vertici europei. Incisi, mezze parole e dichiarazioni pubbliche. La prima riguarda la recente presa di distanza di Meloni dalla possibilità di un bis di Ursula von der Leyen, un affrancamento ovviamente strategico per la premier e leader dei Conservatori dopo mesi di intensa frequentazione, ma che viene accolta con buonumore dalle parti del vicepremier leghista. Più complicata, invece, la vicenda Mario Draghi. Salvini, usando à la Vespa, ha mandato messaggi chiari nei confronti dell’ex banchiere centrale, usando l’esperienza dell’unità nazionale l’ultima partita del Quirinale per tentare di mettere in mora Palazzo Chigi rispetto a qualsiasi manovra su “Super euro Mario”. E’ bastato, d’altronde, testare l’effetto dell’indiscrezione, ben informata, lanciata ieri pomeriggio dall’agenzia Bloomberg, secondo la quale il presidente francese avrebbe sondato diversi leader europei, a partire da Meloni, sull’ipotesi Draghi ai vertici della Ue (Commissione o Consiglio). Un fatto che l’Eliseo non ha confermato, ma che Palazzo Chigi ha smentito con una nota. Ripetendo, forse anche per non guastare il clima interno, che “qualsiasi contatto o negoziato volto a definire i futuri assetti dei vertici politici dell’Unione potrà avvenire solo dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo”. Altro dettaglio: ieri a Strasburgo Lega e FdI hanno votato contro la condanna dell’Ungheria perché viola lo stato di diritto. Nonostante dunque le elezioni imminenti, e un sistema proporzionale che esalta la competizione interna fra partiti, Meloni e Salvini appaiono – ma la smentita potrebbe essere dietro l’angolo – allineati. Segnali, come l’ultima nomina di peso effettuata dal governo prima della futura scorpacciata fra Rai, Cdp e Ferrovie: è il caso di Bruno Valensise a capo dell’Aisi che non è dispiaciuta a Salvini.     

Una tregua appunto. A cui partecipa anche Antonio Tajani, il più rilassato del trio, come si notava anche dai dettagli: ieri il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, rinvigorito dai sondaggi, si è fermato senza ritrosie per decine di minuti a chiacchierare con stampa e cronisti in Transatlantico. Un segnale di sicurezza, così è stato colto da chi ha assistito alla scena. I tre tenori del governo si sono visti nell’ultima settimana due volte per cercare di trovare un modus vivendi al motto “siamo diversi e in competizione, ma farci vedere uniti è la miglior risposta a un’opposizione quanto mai frammentata e litigiosa”. Anche il 25 aprile, ricorrenza foriera di polemiche e attacchi, accuse e recriminazioni, ha avuto una vigilia normale. Meloni andrà all’Altare della Patria con le alte cariche dello stato, Tajani si presenterà alle Fosse ardeatine, Salvini, fanno sapere, parteciperà in mattinata “a una delle manifestazioni milanesi”. 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.