Il racconto
Il general Salvini, ufficializza Vannacci, ma i leghisti salgono in collina. Resistenza, con sbadigli
A Milano lancia la candidatura del militare in tutte le circoscrizioni, ma non capolista nelle Annuncia pure il condono, ma nelle chat interne è stupore e malcontento
Milano. Il generale Vannacci, è ufficiale, si candida con la Lega, Salvini per il Nobel alla letteratura: il romanzo è “Resurrezione”. Dopo lungo corteggiamento ce l’ha fatta. Sogna già presentazioni di libri, a due, con il militare stivalone, impone la sua corsa in tutte le circoscrizioni, promette sanatorie (“l’idea la porto in Cdm”) per verandine abusive, bagnetto abusivo, scantinatello abusivo. A Milano, 25 aprile, si è vestito da “antifa”, dichiarato che “il governo è antifascista”, poi, qui, alla Fondazione Istituto dei ciechi, organi a canne, marmi e cera, l’annuncio di liberazione: Vannacci c’è e vede il treno che lo porta al sole, a Bruxelles. I leghisti, stanno già dietro la collina.
E’ riuscito a convincere Vannacci, ma non a dirlo interamente, come non ha detto se il generale sarà capolista in tutte le circoscrizioni. Andrea Crippa, il vicesegretario, spiega che bisogna chiedere a Salvini, ma Salvini è troppo impegnato nel firma copie della sua “fatica”, così la chiama, opera che dedica a Maria Giovanna Maglie e che vorrebbe, annotate, non sia un “libro ragnatelato”. Per il generale, bisogna arrangiarsi. Un deputato, contattato: “Da quello che sappiamo non sarà capolista in tutte le circoscrizioni. Al centro, ci sarà Ceccardi, al nord est la sindaca Cisint. Il resto se lo prende lo stivalone”. E’ servita un’ora, un’ora di lacrimucce, vere, per Silvio Berlusconi che gli diceva sempre “Matteo, curati”; “Matteo indossa lo scuro, che il bianco ti sbatte”, un’ora di Salvini bum, bum, contro chi, a Roma, “ha preso a male parole la brigata ebraica”. Gli spettatori erano tutti storditi perché in sala, in fondo, in piedi, c’era un militante del Carroccio che era il sosia, separato alla nascita, di Vannacci. Si chiama Richard Rizzi e si veste pure meglio. Brusio: “Ma è lui?”. Dopo un’ora di analisi stilistica del tomo “Controvento”, Salvini, oh!, regala la notizia: “Lo hanno demonizzato, dossierato. Sono contento che un uomo di valore come Vannacci abbia deciso di portare avanti le sue battaglie con la Lega in Parlamento europeo”. Scatta l’applauso. Il signor Giovanni, di Federtraslochi, fa il gappista: “Mah”. Sbadiglia. Claudio Brachino, il mezzobusto di Mediaset, che ha lasciato Mediaset, pensa che lo stivalone “sposta mezzo punto, ma non di più”. Direttore, ma lei, lo vota? “Non condivido le sue idee”. L’ultima tendenza della politica italiana è il “candidato Voltaire”, che poi la frase non sarebbe di Voltaire, ovvero: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Corrono Ilaria Salis, Marco Tarquinio e ora Vannacci che non riesce a dirsi antifascista, mentre Salvini, come argomenta Giovanni Sallusti, il direttore di Radio Libertà, che lo intervista, ricorda “che Salvini lo è”. Il vicepresidente del Senato, Centinaio, che non ama Vannacci, e che ormai è un Ferruccio Parri, negli stessi secondi, scrive sui social: “Viva l’Italia libera e antifascista”. Nelle chat, quelle non intercettate dai boxeur di Salvini, scatta la protesta delle faccine: clown, occhi spalancati, anche perché questa spinta propulsiva di Vannacci, non si vede. A Milano, il leghista che trascina è il ministro Valditara, il più richiesto dalle sciure. Tra gli spettatori c’è l’attore Antonio Zequila, l’ex Grande Fratello, che porta un giubbottone da aviatore. Angelo Ciocca, l’europarlamentare, più votato della Lombardia, oltre centomila preferenze, si dice “contento”, perché il generale è “valore aggiunto”. Le musiche sono di Ludovico Einaudi. Il Salvini-Manzoni è completamente preso dalla sua nuova vita da letterato, antico, tanto da premettere che “i libri vanno stampati su carta”. Poi è un “viva il piccolo mondo antico”. La classe D, a scuola, il liceo a Via Orazio, i professori di sinistra, il glicine, “io amo il glicine”, e il “sapone di marsiglia”. Ma insomma, quale bisogno di offendere la cellulosa, a 17 euro? Questo nuovo Manzoni confessa: “L’ho scritto perché volevo mettere meno ministro, meno Salvini più Matteo”. La sala si incanta per Melania Rizzoli, la vera regina, la corona, di Milano, che tiene per mano, insieme, con la destra, Vittorio Feltri e, con la sinistra, Massimo Fini. Sono i corsari che fecero L’Indipendente, il giornale dell’acerbo Salvini che davvero è felice della loro visita, malgrado, “sia Feltri sia Fini, non siano stati generosi nei miei confronti ma ho capito che sono più preziosi quelli che mi dicono che sto sbagliando di chi mi dà sempre ragione”. L’ultima volta che Zaia-Giorgetti-Fedriga gli hanno detto di lasciare i punkofasci, per poco non li spediva a Subiaco; ma lasciamo perdere. Quando Sallusti il giovane gli chiede di Meloni, il Manzoni-Salvini si esalta: “Non siamo mai stati al governo prima d’ora, i nostri rapporti sono sempre stati alternativi e competitivi. Abbiamo due caratteri tosti. Il suo successo è il mio successo. Ma ora i destini sono incrociati”. La promessa: “Il mio impegno durerà cinque anni”. E Salvini ci arriva pure con il motore diesel perché “l’auto elettrica inquina di più della diesel” e “io non voglio che l’Italia diventi una colonia cinese”, “fra 44 giorni l’Occidente o vive o muore”. Poi se la prende con Pep Guardiola, “mi sta sulle palle”, colpevole di aver indossato la maglietta di Open Arms. Finisce in maniera straordinaria. Un leghista chiede a Feltri, il lord, di fare una dedica. Gli porge il libro di Salvini al che, Feltri: “Io che firmo un libro di Salvini, ma per chi mi ha preso?”.