Matteo Renzi e Carlo Calenda - foto via Getty Images

L'analisi

Renzi e Calenda devono stare insieme. E a dirlo è la logica

Oscar Giannino

Il recente voto in Basilicata ha messo in evidenza che esiste ancora un Terzo Polo: un 15 per cento di elettori pensa che la politica non debba risolversi risolversi nella gara tra contrapporti populismi sia a sinistra sia a destra. Una sintesi in tre punti

Il recente voto in Basilicata è stato seguito e analizzato dai media con un’attenzione assolutamente prioritaria sul balletto di veti e candidati alla presidenza susseguitisi nel cosiddetto “campo largo”. Un autodafé che comprovava da una parte il nervosismo dei 5 stelle consapevoli del crollo che li aspettava alle urne, nonché i guai interni del Pd rispetto al continuo tiremmolla di Conte, alla questione morale riemergente dalla Puglia al Piemonte con la necessità di nuovi (e inutili) codici etici, e allo scontro interno a coltello sul nome di Schlein nel simbolo delle europee e sulla sua candidatura in tutti collegi. Ma, rispetto a tutto questo, il voto lucano ha proposto anche un’evidenza diversa. Che pone un tema di riflessione di un qualche rilievo, almeno per noi che siamo ossessionati da una certa idea dell’Italia che non possa e non debba risolversi nella gara tra contrapporti populismi sia a sinistra sia a destra. I media hanno preferito presentare quella evidenza che più interessa a noi nella solita chiave che riduce tutto al confronto taurino Schlein-Meloni, e dunque si sono sprecati i titoli “Calenda e Renzi fanno perdere la sinistra”. Con tutto il rispetto per autorevoli direttori e colleghi, la sostanza è invece un’altra. Se in Basilicata quasi il 15 per cento degli elettori ha votato le liste di Calenda e Renzi, la vera riflessione da fare non è sul fatto che quei voti fossero di sinistra, e solo una sconsiderata spregiudicatezza dei due leader glieli abbia sottratti. Né, con tutto il rispetto per il vincitore Vito Bardi, credere che sia stata la caratura di chissà che livello del governatore uscente, a determinare il voto di quel quasi 15 per cento. La cosa più interessante è un’altra. Sintesi in tre punti.

 

 

Primo. C’è un’area liberaldemocratica a doppia cifra percentuale di elettori che continua a rifiutare la logica Meloni-Schlein che piace tanto a politologi e media? Sì, c’è. E se c’è nel Mezzogiorno, perché pensare che non dovrebbe continuare a esserci anche nelle aree del Nord, dove si vota più per opinione che per interessi e cordate, in quell’area pedemontana del Nord in cui alle ultime politiche l’accoppiata Calenda-Renzi aveva raggiunto percentuali a doppia cifra anche oltre il 20 per cento, tra Lombardia e Veneto e Piemonte? Secondo, risposta all’accusa populista: ma no cari presunti liberaldemocratici non ci fregate, quel 15 per cento lucano non è che l’espressione di un vecchio trasformismo di chi cerca rendite di posizione, pensando di fare l’aghetto della bilancia tra Meloni e Schlein e aspettando l’ultimo secondo prima di chiudere  le liste per scegliere quale dei due campi sostenere per poi lucrarne benefici e incarichi di governo e sottogoverno. Bell’esempio di cecità anteposta ai fatti. I fatti sono che a Calenda risulta, anche con tutta la sua buona volontà, impossibile restare in una sinistra in cui i 5S credono di poter continuare a porre veti quando sono in caduta libera. E che la scelta di Bardi è avvenuta invece in un contesto nel quale è la Lega a crollare e Forza Italia – sempre meno disposta a confondersi con l’estremismo popul-salvinico – a ricrescere. Dispiace per i predicatori del bipolarismo anche quando è lotta cieca tra irresponsabilità contrapposte, la via del realismo liberale a quel punto è scegliere il minore dei mali. E qui veniamo però al terzo punto. Quello che ci interessa di più. Scegliere il minore dei mali quando si è sotto l’urgenza della presentazione delle liste non è mai il modo più efficace per una crescita solida, di medio e lungo periodo. È un metodo che lascia perplesse vaste fasce di elettorato liberaldemocratico che di fronte al pendolare tra destra e sinistra preferiscono restare a casa o magari votare altro, in questa fase tornare per esempio a votare Forza Italia (che benedice compiaciuta in silenzio ogni giorno le polemiche Calenda-Renzi). Già alle ultime politiche fu evidente che il modo in cui nacque l’alleanza che poi divenne federazione tra gruppi parlamentari di  Renzi e Calenda, cioè all’ultimo minuto prima di presentare le liste, lasciò incerti molti degli elettori che avrebbero potuto votare per una scelta che fosse invece ben preparata e presentata con largo anticipo, e abbondanza di convincenti ragioni.
 

Conclusione: alle europee ci saranno due liste diverse sotto l’ombrello liberaldemocratico di Renew Europe, quella di Azione e Stati Uniti d’Europa, figlia dell’intesa tra +Europa con Bonino, Radicali, Italia Viva, Libdem, PSI e Italia c’è. Le due liste diverse sono il prodotto dell’apocalittica volontà di continuare nelle polemiche che hanno affondato la federazione parlamentare terzopolista. Per le europee è andata così. Ma dopo, in vista delle prossime politiche, continuare nelle polemiche personalistiche è il miglior regalo che l’area liberaldemocratica possa fare ai contrapposti populismi. Dateci retta, smettetela di rivangare il passato. Persino Roosevelt e Stalin riuscirono a collaborare per un obiettivo decisivo comune. Figuriamoci se non potete riuscirci voi.

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