L'editoriale del direttore

Il dito è Roberto Vannacci, la luna è Matteo Salvini. Un manifesto rivelatore

Claudio Cerasa

Il problema della campagna elettorale leghista non è ciò che dirà il generale, ma è ciò che ha già detto, o meglio scritto, il leader della Lega: l'Europa che gli piace tanto è la stessa che sogna anche il presidente russo Vladimir Putin

Il dito si chiama Vannacci, la luna si chiama Salvini. All’interno dell’appassionante, si fa per dire, corsa che accompagna l’Italia alle elezioni europee, c’è una gara molto speciale che a un mese e mezzo dal voto ha già un vincitore chiaro, netto. La gara è quella che vede i vari leader di partito impegnati a usare la campagna delle europee per offrire generosamente il peggio di sé. E in questa particolare competizione colui che rischia, come l’Inter, di vincere il titolo con molte giornate di anticipo è, per distacco dagli avversari, il leader della Lega: Matteo Salvini. Ieri, comprensibilmente, si è ironizzato molto sulla scelta del vicepremier di candidare, nel giorno della celebrazione del 25 aprile, una nuova icona dell’anti antifascismo (ma volendo, i più maliziosi possono eliminare entrambi gli anti), che risponde al nome del generale Vannacci. Salvini, probabilmente, lo ha fatto, oltre che per raccogliere voti, anche per provare a inserire in una speciale competizione che potremmo definire il T-Factor, il Truce Factor – scegli il politico più truce della campagna delle europee – un’alternativa a se stesso. Ma l’eroico tentativo di Salvini difficilmente riuscirà a prendere forma, perché ciò che ha fatto negli ultimi giorni il leader della Lega, per aggiudicarsi il premio, il T-Factor, basta e avanza. Il problema della campagna elettorale leghista non è ciò che dirà Vannacci, ma è ciò che ha già detto, o meglio scritto, Salvini. E per capire di cosa stiamo parlando è sufficiente alzare gli occhi da terra, mentre si passeggia in città, e osservare con attenzione il messaggio che il vicepremier, senza sprezzo del ridicolo, ha scelto di affiancare al suo volto. Sei parole. Le prime due: voto Lega. Le altre quattro: più Italia, meno Europa. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.

 

 

Ci sarebbe da ridere perché Matteo Salvini è a capo del ministero che gestisce la quota più importante dei finanziamenti del Pnrr (ricevere 220 miliardi dall’Ue e chiedere meno Europa è come andare in banca, chiedere un prestito e pregare la banca di applicarti un tasso di interesse più alto). Ci sarebbe da ridere perché Salvini è stato uno dei leader che hanno votato la fiducia al premier più europeista mai avuto dall’Italia (Draghi). Ci sarebbe da ridere perché Salvini è stato uno dei leader che hanno pregato Sergio Mattarella di continuare dal Quirinale la sua azione per far contare di più l’Italia nel progetto di integrazione europeo (2022). Ci sarebbe da ridere perché Salvini è stato uno dei leader europei ad aver maggiormente rimproverato l’Europa nei momenti di crisi per aver fatto troppo poco per proteggere i cittadini europei (inflazione). Ci sarebbe da ridere perché è Salvini stesso che da anni chiede all’Europa di fare di più per aiutare l’Italia a non rimanere sola di fronte alle ondate dei migranti (chiedere all’Europa di fare di meno sull’immigrazione è come difendere la sovranità dell’Italia alleandosi con partiti europei che raccolgono voti nei propri paesi per non essere solidali con paesi come l’Italia, ma ora che ci pensiamo Salvini ha fatto anche questo). Ma di fronte alle parole di Salvini passa la voglia di sorridere e viene voglia di utilizzare una vecchia espressione con cui il vicepremier in passato ha cercato di addolcire il suo trucismo: fidatevi di me, ve lo dico da papà.

 

 

Da papà, ecco. Ci piacerebbe sapere, da papà a papà, come spiegherebbe Salvini che per il futuro dei nostri figli sta lavorando per far sì che l’Europa conti di meno, che l’Europa non cresca come dovrebbe, che l’Europa non sia solidale come potrebbe, che l’Europa smetta di crescere aiutando i nostri figli a vivere in un continente in grado di confrontarsi con i giganti del mondo non vestendo i panni del piccolo topolino ma i panni di una grande potenza. Ci piacerebbe sapere, da papà a papà, se Salvini ha messo nel conto, quando ha pensato ai suoi cartelli elettorali, che chiedere meno Europa, oggi, significa confondere il virus con i vaccini, operazione che tra l’altro a Salvini è già riuscita perfettamente durante la pandemia. Significa non capire che è grazie a un’Europa che conta di più se l’Italia in questi mesi è riuscita a tenere botta al percorso di emancipazione dal gas russo, che è grazie a un’Europa che conta di più se l’Italia è riuscita a trovare le risorse per risollevarsi dopo la pandemia, che è grazie a un’Europa che conta di più se l’Italia è riuscita a sostenere le esportazioni dei suoi imprenditori, che è grazie a un’Europa che conta di più se  l’Italia è riuscita a trasformare la globalizzazione non in una minaccia ma in una opportunità e che sarà grazie a un’Europa che, sulla difesa, un giorno si spera che conterà di più se l’Italia potrà sentirsi protetta senza aspettare che a proteggere i suoi interessi siano sempre chi della Ue non fa parte, come l’Inghilterra e gli Stati Uniti.
 

Da papà a papà, consigliamo a Salvini di affiancare alla lettura del libro di Vannacci anche la lettura del discorso tenuto qualche giorno fa a Roma Tre dal governatore di Bankitalia Fabio Panetta, che con parole semplici (se serve un disegnino, siamo a disposizione) ha spiegato anche ai sovranisti (se serve un disegno per capire a chi si rivolgeva il governatore, siamo a disposizione anche per questo) perché non esiste una sovranità nazionale senza che vi sia una sovranità europea, senza che vi sia un’Europa in grado di rafforzare il suo mercato unico, senza che vi sia un’Europa in grado di essere più competitiva, senza che vi sia un’Europa in grado di essere all’avanguardia in campo tecnologico ed energetico, in grado di difendere la propria sicurezza esterna, “in grado di avere la forza e l’autorevolezza necessarie per contare nel mondo e contribuire al dialogo e alla cooperazione tra paesi”. La soluzione, ha detto Panetta, è rafforzare l’economia europea lungo tre direzioni principali: riequilibrando il suo modello di sviluppo; garantendo la sua autonomia strategica; adeguando la sua capacità di provvedere alla propria sicurezza esterna e potenziando il suo ruolo nel dibattito internazionale. “L’obiettivo non è contrapporsi ad altri o chiudersi all’interno dei confini domestici, ma acquisire forza per contribuire alla concorrenza, all’integrazione e al dialogo tra paesi”.

 

 

L’Europa che sogna Salvini è un’Europa in cui le soluzioni vengono trasformate in problemi, in cui i problemi vengono trasformati in soluzioni, in cui la solidarietà viene trasformata in un vizio, in cui i problemi legati all’immigrazione verrebbero accentuati e non risolti e in cui, oltre a sputare nel piatto in cui si mangia, compreso quello in cui mangia il suo ministero, oltre a immaginare un futuro tossico per la stessa base elettorale della Lega, quella produttiva, quella a cui dovrebbero essere legati i bravi governatori leghisti, si lavorerebbe per raggiungere un effetto imprevisto: rendere il nostro continente più vulnerabile di fronte alle minacce esterne, rendere le nostre democrazie più fragili di fronte ai nemici della libertà, offrire alle nuove e vecchie dittature più strumenti per trasformare la nostra debolezza in un loro punto di forza e trasformare così le forze sovraniste nei cavalli di Troia delle autocrazie mondiali. Da papà a papà, caro ministro: Putin, non sarebbe riuscito a trovare uno slogan migliore per immaginare l’Europa del futuro. Meno Europa uguale più Putin. Meno Salvini uguale più Europa. Il dito si chiama Vannacci, la luna si chiama Salvini.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.