l'editoriale del direttore
Il fascismo putiniano diventa prioritario da combattere alle europee per Meloni ma non per i cosìddetti antifascisti (e per la Lega)
Un messaggio forte, nella conferenza di programma di FdI, quello sull'Ucraina. Tanto più che gli altri partiti hanno scelto di mettere da parte il tema, con silenzi o ambigue candidature. E la retorica della resa all’autocrate di Mosca è diventata centrale anche nell’agenda del Pd
In un passaggio del discorso pronunciato ieri a Pescara, la presidente del Consiglio, in mezzo a molta retorica, molta demagogia e molto mestiere politico – la premier sa come ringalluzzire i propri elettori usando le parole giuste per provocare il Pd senza essere eccessivamente populista, sa come usare le parole giuste per differenziarsi da Salvini spiegando al leader della Lega perché non deve alzare troppo la cresta, sa come usare le parole giuste per differenziarsi dai socialisti europei pur sapendo che con i socialisti europei ci dovrà governare – la presidente del Consiglio ha scelto di dedicare una parte del lungo discorso con cui si è candidata fittiziamente alle europee (fittiziamente perché Meloni, anzi “Giorgia”, sarà capolista ovunque ma lo farà per portare più voti al suo partito, non per entrare a far parte del Parlamento europeo) a un tema che gli altri partiti italiani hanno scelto di mettere da parte, di mettere nel cassetto, di mettere sotto il tappeto. E’ stato il passaggio meno valorizzato nella giornata di ieri, ma è stato il messaggio più importante, quello centrale: l’Ucraina.
A eccezione dei partiti centristi, Meloni, finora, è l’unico leader di un grande partito italiano ad aver messo l’Ucraina al centro dell’identità del suo percorso politico. Meloni, ieri, ha detto che in questi mesi, nei mesi del suo governo, “è tornata l’Italia che rispetta i suoi impegni internazionali, che viene guardata con rispetto perché ha il coraggio di prendere le decisioni giuste, anche quando non sono popolari, come quella di sostenere il popolo ucraino che combatte per la propria libertà e contro l’imperialismo neo-sovietico di Putin”. E ha aggiunto: “Lo facciamo perché noi non siamo nostalgici dell’Unione Sovietica, lo facciamo perché siamo convinti che farlo sia nell’interesse nazionale italiano, e lo facciamo soprattutto perché vogliamo la pace, ma la pace si costruisce con la deterrenza, non con le bandierine colorate sventolate in piazza, e neanche con il cinismo di chi scrive nel proprio simbolo la parola ‘pace’ solo per provare a raccattare qualche voto sulla pelle di una nazione sovrana aggredita, di un popolo martoriato, e sulla pelle della credibilità della nazione che dice di voler rappresentare”.
Il riferimento, saggio, della premier è a tutti i pacifisti italiani che negli ultimi mesi hanno scelto di fare una scommessa spericolata e irresponsabile: dimenticare l’Ucraina (nel migliore dei casi) o speculare sulla stanchezza dell’occidente nei confronti della guerra in Ucraina per cercare di ottenere uno zero virgola in più alle europee. Il fenomeno purtroppo riguarda tutti o quasi i grandi partiti. Nella campagna elettorale per le europee il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte, senza vergogna, ha scelto, come notato dalla premier, di mettere al centro della propria agenda, e del proprio simbolo, la parola la pace, laddove per pace si intende un concetto che coincide perfettamente con la parola resa: non far arrivare più le armi all’Ucraina, assecondare la volontà di Putin, fermare l’escalation non facendo tutto il necessario per aiutare Zelensky ma facendo tutto il necessario per far sì che finisca la guerra, costi quel che costi. Avrebbe fatto prima, forse, il simpatico presidente del Movimento 5 stelle, a scrivere “Putin”, al posto di “Pace”, nel simbolo del Movimento 5 stelle, depositato in vista delle europee.
E lo stesso problema, purtroppo, un problema di grave ambiguità, lo ha anche il Partito democratico, che nelle stesse ore in cui con dubbia genialità diffonde una card sui social in cui si chiede, coprendo gli occhi di Vannacci, di cancellare il generale dalla comunicazione politica delle europee, per non dargli soddisfazione, decide di compiere con Zelensky, e con l’Ucraina, una mossa simmetrica: cancellare Zelensky, e la sua resistenza, con più forza con cui si chiede di cancellare Vannacci. Il risultato è che il nuovo corso di Elly Schlein, alle europee, si contraddistingue così: con una serie di candidature, fortemente volute dalla segretaria, che riflettono con chiarezza l’ambiguità del Pd su un tema che in teoria dovrebbe essere centrale nella sua agenda: il sostegno a un popolo e a un paese invaso dall’autocrate russo. E invece no. E invece il Pd cosa fa? Candida Marco Tarquinio, Cecilia Strada, Pietro Bartolo, Jasmine Cristallo, invitando gli elettori a scrivere, sulla scheda delle europee, il nome di candidati che con insistenza chiedono, suggeriscono e invitano la politica a smetterla di aiutare con le armi l’Ucraina.
Sentite cosa ha detto Cecilia Strada due giorni fa: “L’invio delle armi in Ucraina non ha funzionato. Dopo due anni dall’inizio della guerra, se fosse bastato il sostegno militare e l’invio delle armi, staremmo festeggiando l’Ucraina in pace, invece stiamo ancora contando i morti. Dalla guerra se ne esce solo con il negoziato”. La retorica della resa, purtroppo, è diventata centrale nell’agenda del Pd, anche se per fortuna in Parlamento il Pd ha votato finora quasi sempre (quasi) per sostenere il popolo dell’Ucraina, e questa retorica della resa ha spinto il Pd a fare l’opposto di quello che, retorica a parte, sta facendo Meloni: mentre il Pd, presentandosi alle europee contro il Patto di stabilità, contro la linea europea sul patto sui migranti, con candidati, addirittura capilista, contrari agli aiuti militari all’Ucraina, si sta allontanando dal mainstream europeo, su politica economica, politica estera e politica di difesa, Meloni, grazie all’Ucraina e non solo, gli si sta sempre di più avvicinando. E, sempre di più, si sta ponendo, sui temi di politica estera in particolare, come un argine non solo al pacifismo della resa di Pd e M5s ma anche a quello della Lega. Perché il generale Vannacci, per il quale nutriamo disprezzo massimo, rappresenta tante cose nell’immaginario politico della Lega, pardon di Salvini, ma tra le tante cose gravi che rappresenta, l’uomo scelto da Salvini come capolista incarna anche ciò che Salvini farebbe se non fosse costretto a essere alleato con Meloni in una posizione di inferiorità politica: odio massimo nei confronti dell’Ucraina, amore assoluto nei confronti della Russia.
Vannacci, come Cecilia Strada, come il M5s, non è ancora riuscito a dire una parola chiara contro Putin, non è mai riuscito a dire una parola positiva su Zelensky, non ha mai trovato il coraggio di dire che l’Ucraina rappresenta il confine delle democrazie e la sua idea di pace non è diversa dai vari professionisti della resa. Con una differenza però. Che ci sia una sintonia tra il fascismo putiniano e quello vannacciano non stupisce. Che vi sia una sintonia tra il fascismo putiniano e quello dei così detti antifascisti italiani, che vedono molti fascismi quando pensano al passato ma si bloccano e ammutoliscono di fronte ai fascismi del presente, sorprende. Così come sorprende la conclusione di questo ragionamento: sull’Ucraina, l’unico partito non ambiguo contro il più pericoloso fascismo europeo è il partito di Meloni. Spunti per i prossimi monologhi antifascisti ci sono. Varrebbe la pena pensarci.