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l'intervista

“Meloni faccia uscire Fratelli d'Italia da Colle Oppio”. Parla Antonio Padellaro

Marianna Rizzini

L'ex direttore dell’Unità e co-fondatore del Fatto quotidiano: "Sarebbe utile scegliere non sulla base della fedeltà ma della competenza”. Il bivio di FdI dopo Pescara (e dopo le Europee)

Che tipo di partito deve essere o diventare, Fratelli d’Italia, se la sua leader, la premier Giorgia Meloni (che a Pescara ha chiuso la conferenza programmatica scommettendo tutto sul suo nome) ambisce a farsi riconoscere come “statista” sul piano internazionale? E’ possibile tenere legata la necessità di procedere, in vista delle Europee, a una sorta di referendum su di sé (scrivete solo “Giorgia” sulla scheda elettorale, è il concetto) con quella di allargare FdI al mondo produttivo, e soprattutto alle cosiddette  “competenze” che impedirebbero imbarazzi (sparo di Capodanno, caso Rai e non solo) e cadute politico-stilistiche? Per consolidare la posizione, insomma, la strada qual è? Seguire la via della Basilicata – con FdI che si allarga al centro –  o quella del fortino chiuso che ha portato la premier alla vittoria nel 2022, ma che potrebbe rivelarsi un boomerang? Chi con libertà intellettuale osserva dall’esterno e dall’altro campo, come Antonio Padellaro, già direttore dell’Unità e co-fondatore del Fatto quotidiano, trova che oggi FdI debba fare uno sforzo “di uscire metaforicamente dalla vecchia sezione di Colle Oppio”.

Qualche giorno fa, intervistato a “Tagadà”, a La7, Padellaro scherzava, a proposito dell’affaire Scurati: la premier a volte sembra avere “un ufficio promozione intellettuali di sinistra”, diceva. “Io vorrei chiedere a Scurati se davvero crede che abbiamo a Palazzo Chigi un presidente del Consiglio che in qualche modo potrebbe essere tentato da una certa deriva”, chiedeva Padellaro: “Io ve lo dico chiaramente, non lo credo”, concludeva. Crede invece, Padellaro, che il modello “chiusi a oltranza”, dice al Foglio, non giovi a un partito di governo, e “ve lo dico consapevole della storia non sempre felice delle innumerevoli riunioni o ‘Stati generali’ della sinistra arroccata’”. “Effettivamente, se Meloni vuole dare dimensione diversa e diverso standing al partito, in direzione di un Partito conservatore europeo”, dice Padellaro, “dovrebbe trovare il modo, esaurita la fase elettorale, non dico di riscrivere le regole di convivenza in FdI, ma di mettere un po’ di ordine. Eviterebbe così molti problemi”.

Il co-fondatore del Fatto osserva la bidimensionalità della situazione: “C’è una Meloni abbastanza conosciuta e apprezzata all’estero, la Meloni che dovrà gestire il G7 in Puglia, non certo identificata con Orbàn, e una Meloni che si ritrova a dover risolvere questioni che sarebbero evitabili, ecco, spiegando ai compagni di vecchia data che l’ambizione di oggi non si sposa bene con alcuni comportamenti e alcune scelte”. Per esempio quella di dare le magliette di Fratelli d’Italia al presidente di Leonardo (ex Finmeccanica) Stefano Pontecorvo e al direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale Bruno Frattasi? Il governatore dem della Campania Vincenzo De Luca ha commentato un po’ serio e un po’ faceto: “Mi sono commosso nel vedere sul palco di Pescara manager di Stato obbligati a esporre la maglietta di Fratelli d’Italia, sembravano prigionieri politici”.

Padellaro sconsiglia: “Bisognerebbe non cadere nella tentazione di arruolare, occupare, sistemare; non dare la sensazione di quelli che, visto che sono al governo, fanno come gli pare. Piuttosto, sarebbe utile scegliere non sulla base della fedeltà ma della competenza”. Il discorso di Meloni a Pescara è parso a Padellaro “rivolto più al passato che al presente, mentre credo sarebbe utile alla premier parlare in casa – per temi e toni –  come nei consessi internazionali. Il paese ha dirigenti e intellettuali di livello, ma se non si esce dalla sindrome Colle Oppio non si può fare tesoro della loro esperienza”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.