Le liste di Giorgia ed Elly
Mentre il Pd apre (fin troppo) il partito, FdI alle europee punta tutto sulla vecchia guardia: zero sorprese
Domani Fratelli d'Italia ufficializza i suoi candidati: non ci saranno nomi della società civile. Mentre dall'altra parte l'apertura a candidati "di bandiera" insospettisce le correnti
Avevano già cominciato a chiudere il dossier a Pescara. Ma per lo stato maggiore di Fratelli d’Italia sono queste le ore decisive per il completamento delle liste da presentare alle elezioni europee, che saranno ufficializzate con ogni probabilità nella giornata di mercoledì. Non che l’operazione richieda particolari travagli: già nel weekend Arianna Meloni e il marito e ministro Francesco Lollobrigida, con il presidente del Senato Ignazio La Russa, si sono seduti attorno a un tavolo, vista mare, e hanno chiuso le ultime caselle. La decisione di “Giorgia” (Meloni) di candidarsi capolista ovunque ha reso ancor più scontata la costruzione di liste in cui ci sono già dei nomi certi e praticamente quasi nessuna sorpresa. Tra i primi si annoverano la riconferma di Carlo Fidanza e Vincenzo Sofo, le candidature nel nord-est di Alessandro Ciriani e di Elena Donazzan. Di Mario Mantovani nel nord-ovest. Così come quelle di Giuseppe Milazzo e Ruggero Razza al sud. Il partito, insomma, punta a una promozione della vecchia classe dirigente lodata a Pescara dalla stessa Meloni, che ha detto: di voi mi fido, è con voi che siamo arrivati fino a qui. In opposizione a quel che avviene nel Pd, dove le liste sono state fin troppo aperte al punto da sconfessare alcuni degli uscenti e delle minoranze. Una deviazione rispetto alla polarizzazione a due cercata dalla premier, che sperava, invitando al voto o di qua o di là, di accaparrarsi anche quei seggi che vengono riassegnati se i partiti non superano il quattro per cento.
Le elezioni europee saranno quindi una competizione in cui Fratelli d’Italia e Partito democratico mostreranno il proprio marchio di fabbrica: da una parte il partito caserma (di cui oggi parte il nuovo tesseramento), con la leader che anche alla conferenza programmatica ha detto di “non essere sola” perché non è vero “che non ho accanto a me persone capaci”. Per questo, seguendo la logica che la vede guidare le liste in tutte le circoscrizioni, i nomi prescelti per Bruxelles sono la fotografia di una forza politica fiera della scarsa apertura a mondi esterni. Dall’altro lato, invece, sebbene anche Schlein potrà essere indicata sulla scheda elettorale con l’appellativo di “Elly”, il tentativo di distogliere l’attenzione da sé, per darla a candidati bandiera, è evidente: gli esempi sono quelli di Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Lucia Annunziata. Un tentativo, insomma, di mandare in onda il film “Pd-Partito aperto” che però ha insospettito più di qualche corrente. E soprattutto alcuni dei parlamentari uscenti, che sono riusciti a strappare una ricandidatura (ma non in posizioni di capilista, vedi Pina Picierno) solo dopo aver pubblicamente criticato la segretaria e l’opzione di mettere il suo nome nel simbolo. Opzione poi abortita dopo lungo e stancante dibattito interno.
Come detto, l’operazione varata da Meloni, giocare una partita a due con Schlein, insistendo anche sui confronti televisivi (dovrebbero essere un paio) che ci saranno di qui all’8 giugno, doveva servire anche a trarre profitto dal sistema elettorale che si usa alle europee: dove i partiti devono superare la soglia del 4 per cento a livello nazionale. Per questo la premier paradossalmente spera in un buon risultato del Pd a danno della galassia centrista: attraverso il meccanismo dei resti (e grazie al fatto che in questa tornata all’Italia verranno assegnati due seggi in più rispetto al 2019) renderebbe realistica l’ipotesi di guadagnare circa 20 seggi in più rispetto ad adesso, che ne ha solo cinque: frutto del 6,4 per cento del 2019.