il commento
Antifascismo e impoverimento del dibattito sui contenuti offuscano gli errori del governo
C’è un rischio nel far diventare l’ascendenza fascista di Giorgia Meloni il principale argomento politico contro di lei: perdere di vista i provvedimenti sbagliati. Il caso della riforma dell'accesso al corso di laurea in Medicina
Ogni rigurgito di fascismo deve essere combattuto senza esitazioni. Ma c’è un rischio nel far diventare l’ascendenza fascista di Giorgia Meloni il principale argomento politico contro di lei e l’unico aggregatore dell’opposizione. Il rischio è perdere di vista quanto di sbagliato questo governo sta facendo, che non ha alcuna relazione con le ascendenze ideologiche di una sua componente e comunque andrebbe valutato nel merito dei singoli provvedimenti.
Per esempio, la riforma dell’accesso al corso di laurea in Medicina, di cui si è parlato troppo poco. E’ una riforma dai contenuti cari anche alla sinistra, ma non per questo più condivisibili dato che produrranno una peggiore qualità dei futuri medici. Come primo passo verso l’eliminazione dell’“odioso” numero chiuso, il governo propone, demagogicamente, di introdurre un primo semestre a libero accesso, seguito da una valutazione, locale e non nazionale. Sei mesi persi in corsi che saranno affollati oltre il ragionevole, che non potranno aiutare gli studenti a decidere a ragione veduta se vogliono davvero diventare medici, nè le facoltà a insegnare qualcosa di utile selezionando al tempo stesso i migliori. Per ridurre la casualità di un’ammissione basata su test standardizzati sostenuti in una singola giornata, la soluzione è ripetere i test su più anni durante le superiori. Il risultato medio di prove ripetute consentirebbe una valutazione più precisa delle capacità dei candidati.
Quanto al problema dello scarso numero di medici, andrebbe risolto richiamando dall’estero i numerosi nostri ottimi laureati che là sono fuggiti e non abbassando i criteri di ammissione con la certezza di avere più medici, ma di peggiore qualità. I medici italiani all’estero tornerebbero con opportuni incentivi finanziari e soprattutto con un sistema universitario e ospedaliero in cui il merito fosse premiato.
Giorgia Meloni non ha vinto elezioni condizionate dalla violenza e da una legge elettorale antidemocratica, come quelle vinte da Mussolini nel ‘24 dopo la Marcia su Roma. Ha vinto regolari elezioni con una legge elettorale criticabile in molti aspetti, ma certo non imposta da un dittatore. Chi vuole convincere il suo elettorato a non votarla deve combatterla per il merito dei suoi provvedimenti dimostrando che sono sbagliati. Insistere sulla sua ascendenza fascista, per quanto da lei mai negata, non aiuterà a indebolirla e anzi aumenterà il consenso di cui gode tra coloro che vedono nella sinistra solo un’accozzaglia di fazioni divise tra loro, e comunque carenti quanto a idee di governo: queste carenze della sinistra, più che gli antenati del partito di Meloni, ricordano quel che accadde nei primi anni ‘20.