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Colatura d'alici 5 stelle

Il poetico declinismo di Tridico

Il sud immaginario (tanto paga lo Stato)

Maurizio Crippa

La lettera dell'ex presidente Inps e ora eurocandidato del partito di Conte a Repubblica su "come salvare le aree interne" è un pauroso concentrato di declinismo, statalismo e retorica anti economica senza mezza idea del cosa fare. Così non se ne leggevano da tempo

Una cosa che col fairplay delle belle lettere va riconosciuta a Pasquale Tridico è una scrittura meno cespugliosa e introversa di quella di Fabrizio Barca, profeta del catoblepismo delle “aree interne” e inascoltato filosofo della coesione territoriale, confuso brand geo-sociale inteso alla “riattivazione delle aree e municipalità remote del paese” di cui fu ministro. Reso omaggio al bello stile dell’ex capo dell’Inps, la lettera che scrive a Repubblica (è candidato alle Europee, dunque ospitato, “caro direttore”) è un condensato retorico antimodernista e antisviluppista, una colatura di alici di tutto il declinismo felice, tanto paga lo Stato, così confuso da far rimpiangere le alte elucubrazioni di Barca.

Difficilmente il meridionalsimo statalizzato a cinque stelle avrebbe potuto elaborare di peggio. “Lo spopolamento delle aree interne dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno è innanzitutto un processo di progressiva erosione di diritti fondamentali di cittadinanza”, inizia Tridico. E già qui, forse, era meglio notare che i diritti non ci sono dove non c’è sviluppo. Invece la colpa è delle “idee efficientiste di riduzione dei costi unitari in tutti i servizi, e in particolare nella sanità, nella scuola e nei trasporti”. Un’ospedale per ogni paziente, per chi teorizzò l’uno vale uno, che volete che sia? Ma chi paga, e se ci sia un modo diverso, esula dal bello stile del candidato europeo. La “migrazione dalle aree interne verso i centri più grossi e spesso dal Sud verso il Nord” non è colpa della mancanza di iniziativa o di trasformazione economica, ma dell’attrattiva (maligna) di “uno sviluppo che non era progresso ma fine del benessere nei luoghi di partenza, in quei borghi rimasti senza comunità e quindi senza servizi, senza lavoro, senza vita, con i più anziani rimasti a ricordare i borghi e l’idea di una vita lenta, serena, piena di attività, prodotte con costi unitari forse maggiori, rispetto al costo delle metropoli, dove i costi si riducono sulla base dei grandi numeri; ma dove c’era benessere diffuso, ormai andato disperso”. Silone e Corrado Alvaro si indignavano per i loro cafoni di terre aspre, Tridico invece ne fa una ridicola elegia a metà tra passatismo e depliant da piccoli borghi. Non pensa a lo sviluppo, è contro “un’idea di sviluppo che si basa sulle dimensioni mega, che erode territorio e che occupa spazi, cementifica… l’economia di scala come misura di tutto: per le scuole, per gli ospedali, per gli impianti sportivi, per gli uffici pubblici, le poste, i carabinieri e persino per le chiese”.

E fin qui siamo al meridionalismo da bel canto. Ma da economista pentastellato qual è, Tridico sfodera la ricetta di pronta guarigione. O per meglio dire la sua pesante testa di catoblepa statalista affonda nell’assurdo: “Quando le quantità si riducono, quando i bambini diventano sempre di meno, quando i cittadini diventano sempre pochi, bisogna puntare sulla qualità e non ridurre ulteriormente i servizi”. Spesa pubblica. Ci vuole “lo smart working e il south-working”, purtroppo però “l’efficientismo prevale ancora”, dice il profeta dell’inefficienza. “Il lavoro deve essere integrato dal reddito laddove non basta”, e siamo ancora al reddito di cittadinanza tarato sulle aree interne, di come aumentare il lavoro per aiutare “quei borghi rimasti senza comunità” nemmeno l’idea. “Bisogna politicizzare la cosiddetta ‘restanza’”, scrive. E qui si affida all’economista dell’Università della Calabria  Domenico Cersosimo, autore di “Lento pede. Vivere nell’Italia estrema”. Ma politicizzare la restanza significa, un’altra volta, sostenere a denaro pubblico una situazione insostenibile. Il Censis certifica la fuga dei giovani? Per Tridico bisogna “apprezzare il valore sociale dei servizi, come la cura agli anziani, la cura dei bambini, la cura del paesaggio, retribuiti poco perché valutati solo sulla base della produttività marginale”. Come aumentarne il valore, boh. Poteva mancare il “burning out”? Ma come, i cafoni di Silone, senza il tormento dell’efficientismo, non stavano tutti bene?
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"