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l'intervento

Ragionare sul premierato si può, anche a sinistra

Stefano Ceccanti

Ricordare la storia delle opposizioni e aggiungere qualche buon paletto alla riforma. Ci scrive il costituzionalista ed ex parlamentare del Pd

Lunedì scorso il cartello di associazioni che lavora per una riforma condivisa sul premierato (Io Cambio, Libertà Eguale, Magna Carta, Riformismo e Libertà) è intervenuto con due lettere, a maggioranza e opposizione, e due concreti emendamenti prioritari. Alle opposizioni si è ricordato che appartiene proprio alla loro storia il terreno del premierato, quello che Maurice Duverger (eletto nel 1989 dal Pci al Parlamento europeo) ha definito forma neo-parlamentare, in cui il rapporto di fiducia che si formalizza in Parlamento parte già prima, da una scelta chiara del corpo elettorale. Difficile squalificare come concessione alla destra un terreno basato sui fondamenti di Duverger, della Tesi 1 dell’Ulivo, dei parlamentari Salvi (autore dell’articolato del centrosinistra alla Bicamerale D’Alema che traduceva quella Tesi) nonché Bertinotti e Cossutta (autori del testo analogo di Rifondazione). Tutti questi contributi si basavano su due aspetti: un ruolo decisivo del corpo elettorale in entrata, chiamato a scegliere una maggioranza con relativo premier; un grado ragionevole di flessibilità in corso di legislatura, senza quegli automatismi che sono motivati a livello di comuni e di regioni, ma che non lo sarebbero per un governo nazionale.
 
Alla maggioranza è stato doverosamente segnalato che sarebbe sbagliato non sciogliere ora i nodi elusi nel testo. Non è anzitutto la stessa cosa un sistema in cui una limitata maggioranza relativa possa esprimere un premier e puntare a premi eccessivi (neanche una riforma costituzionale potrebbe superare esigenze di sistema espresse nelle sentenze della Corte in materia) o in cui, viceversa, si richiedano maggioranze assolute. Quelle relative rischiano di essere espressive di minoranze intense, col ruolo decisivo di partiti estremisti; quelle assolute con ballottaggio considerano le seconde scelte degli elettori, deradicalizzando gli esiti. In Francia il partito di Le Pen può arrivare in testa al primo turno ma ben difficilmente nel secondo, quando previsto. Sono due modi diversi di strutturare il sistema politico, tra cui si deve scegliere in Costituzione. Avendo peraltro al momento deciso, per non complicare il testo, di mantenere due Camere con potere di fiducia (scelta che non condividiamo, superabile agevolmente concentrando il potere fiduciario nel Parlamento in seduta comune), l’eventuale ballottaggio con unico voto, da stabilire necessariamente in Costituzione, risolverebbe il problema del mancato raggiungimento della soglia e dei possibili risultati diversi tra Camera e Senato. La legge elettorale da sola, senza una copertura costituzionale, non può prevedere il ballottaggio con un unico voto che decida l’assegnazione del premio e quindi la composizione di entrambe le Camere.
 
C’è per di più la mina del voto estero: se si pensa di scegliere un premier insieme a una maggioranza e non a se stante, come accadeva in Israele, la possibile asimmetria tra il voto per il premier (ove ogni elettore varrebbe uno) e l’assegnazione dei seggi (in cui gli otto deputati e quattro senatori sono predeterminati come una sorta di diritto di tribuna) va sciolta subito. Abbiamo proposto una soluzione, potrebbero forse esservene delle altre, ma anche questo nodo non può essere sciolto dalla legge ordinaria senza copertura costituzionale. Vi è poi il nodo dell’autonomia di elezione della Presidenza della Repubblica che va rafforzata per un verso elevando il quorum di elezione al cinquantacinque per cento dei seggi e per altro verso allargando la base elettiva comprendendo un numero di sindaci identico a quello dei delegati regionali e i parlamentari europei eletti in Italia. La Costituzione esige di trovare compromessi: questi ci sembrano ragionevoli e possibili.

Stefano Ceccanti, costituzionalista, ex parlamentare Pd

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