Il racconto

Meloni e il premierato balera. "Voglio dialogare ma non getto la spugna", lobbisti, attori per la pacificazione

Carmelo Caruso

La premier parla della riforma con Violante, Orsina, Clementi, e manda messaggi all'opposizione per migliorare il testo. La scena se la prende l'Italia pop di Pupo, Zanicchi, Giletti e Gerini

Roma. Alfredo Mantovano, dirige la maestra Casellati, canta la premier, detta Giorgia”. Meloni si è inventata il premierato alla meringa, la riforma spumata con il gelato al cioccolato di Pupo (“mi piace il premier forte, fortissimo”) una balera del diritto con Angelino Alfano, Luciano Violante, Amedeo Minghi, Michele Placido, Massimo Giletti, il nuotatore Magnini, la coppia Giampaolo e Tony Angelucci, i Giornalos, anche loro ospiti alla Camera, Sala della Regina, per l’evento la “Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato”. Meloni ha parlato alla fine e ha detto che la Costituzione non è un “Moloch intangibile”, che per lei “questa riforma è un rischio ma darà stabilità”, che proverà a dialogare, ma se gli altri dicono “la fermeremo con i nostri corpi, signori, io che posso fare?”. Aveva i capelli alla Uma Thurman, di “Kill Bill”, a spaghetto. Il vecchio “Muccassassina” di Luxuria rispetto a questa Giamaica costituzionale sembrava un resort di cappuccini.


Il cast di questo premierato e note lo ha curato il sottosegretario Mazzi (Pupo: “Mi ha invitato Mazzi”; Zanicchi: “Mi ha invitato Mazzi”) uno che è passato dall’Arena di Verona, Celentano, al ministero della Cultura. Per ragionare di premierato stava per invitare anche i Simply Red, ma il red, a destra, porta sempre male. I professori a discutere erano due, uno a favore della riforma, Giovanni Orsina, e uno scettico, Francesco Clementi (si merita di scrivere gli editoriali di prima sul Corriere). Luciano Violante faceva il padre di famiglia, Latella era meglio di Amadeus. Duecento invitati. Mancavano solo le orchidee, il tappeto rosso. Don Patricello di Caivano era una delle guest star, ed è passato dalla paranza dei bambini di Roberto Saviano all’articolo 92 della Costituzione, così come Claudia Gerini, pure lei seduta, Iris Blond in Sangiuliano (è fidanzata con il cugino di Genny Sangiuliano, un altro che ha la fama di Gunther Sachs del Vomero) è passata da Carlo Verdone alla norma anti ribaltone con suffragio universale. Sarebbe dunque questo lo strappo democratico, la ferita indicibile della sacra carta? Meloni ha provato a farne un karaoke. Pupo era la fortuna di tutti i titolisti, “premierato al cioccolato”, Iva Zanicchi rispondeva magnificamente ai cronisti: “Il premierato? Ah, bella cosa. I poteri del presidente? E io che cacchio ne so. Mi hanno invitato. In ogni caso a me questa donna, Meloni, piace”.

A Palazzo Chigi si sono accorti che c’era bisogno di mettere albume e zucchero a velo a questa riforma e hanno pensato bene di farne quattro salti in pista, pacificare. Ricordate i poteri forti che denunciava Meloni all’origine, le lobby? In terza fila c’era Gianluca Comin che gestisce la comunicazione di mezzo paese, compresa quella del caro Vespa quando va in masseria. Ricordate i boiardi di stato da cacciare con il machete? In seconda fila c’era Salvo Nastasi oggi alla Siae che ha governato, e per fortuna, il ministero della Cultura con i ministri di sotto e di sopra. C’era una sedia per la donna legge, “La Severino”, una ancora per l’ex ad di Snam, Alverà, una quarta per Giovanni Pitruzzella e una quinta per Castagnetti. Lo avranno fatto per evitare l’effetto pennica che provocano questi seminari dove ci sono tonnellate di “come dice Costantino Mortati”, “come dice il Calamandrei”.

A Lorenzo Fontana, il presidente della Camera, lo si abbuona perché lo ha saputo citare: “Diceva Calamandrei che la Costituzione è patrimonio di tutti e che bisogna mettere ogni giorno il combustibile”. Era un convegno organizzato dalla fondazione De Gasperi e Bettino Craxi che oggi presiedono rispettivamente Alfano e la socialista Margherita Boniver, entrambi del parere che sì, modificare la carta non è decisionismo. I Giornalos, Tony e Giampaolo Angelucci, si abbeveravano di Orsina che spiegava “come la Costituzione sia un dogma minimo, ma il dogma non si deve dilatare troppo, mentre Carlo Deodato, segretario generale di Palazzo Chigi, è finito accanto a Pupo. Alfredo Mantovano fa silenzio pure quando parla. Violante raccontava invece la solita Kissengerata: “Kissinger incontrò Aldo Moro e chiese: la rivedrò fra sei mesi?”. Il cosacco per Meloni, Violante, è stato pungente. Ha sollevato delle questioni, le stesse di Clementi che consigliava alla premier di provare a fare la riforma con una “maggioranza di due terzi, ci provi”. Ci sarebbe molto da dire su come Meloni abbia puntato su questa riforma, ma sembra davvero che ci creda. Argomentava: “Per me è un rischio”; “anche io sono per le preferenze”; “si può arrivare a un testo migliore in Parlamento”, in punta di piedi, ma non voglio gettare la spugna”; che “la riforma non indebolisce le Camere ma è il trasformismo che indebolisce le Camere”.  Deve iniziare a preoccupare, direbbe Gaber, non tanto “la Meloni in sé, ma la Meloni in me”. Quando è arrivata, e non l’ha chiesto certo lei, tutti e duecento invitati sono scattati in piedi, come se fosse entrato il preside. Per fortuna c’era Minghi con i suoi occhiali blu elettrico a ricordarci che in Italia è tutto una romanza e che non serve neppure ordinare: è un tic. Anche oggi la Rai canterà Serenella e “trasmetterà il premierato che Giorgia ha pensato per te”.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio