L'editoriale dell'elefantino
Scurati contro la corruzione. Ma non sa che l'aggettivazione indignata è un peccato mortale?
Gli aggettivi devono essere commensurabili alle circostanze e stare, magari rari e preziosi, nel discorso. Ma lo scrittore ne abusa, andando contro lo spirito della lingua
Uno scrittore dovrebbe saperlo. Gli aggettivi devono essere commensurabili alle circostanze e stare, magari rari e preziosi, nel discorso. Associati a caso, appesantiti dal greve, raddoppiati o triplicati a schiovere, fanno brutta figura, e come dice Claudio Giunta nel suo manuale su come non scrivere, “usate pure il dicolon e il tricolon, ma con misura”. Per Toni Scurati ieri in Repubblica l’aggettivazione indignata contro la corruzione, che naturalmente è dilagante, figura smisurata. Com’è la vicenda? “Squallida”. Com’è l’Italia? E’ “questa” è “nostra” è “meravigliosa e sciagurata”. La storiaccia di stecche presunte, ma presunte è aggettivo usato al risparmio qui da noi, è “fosca”, è “sozza”. “Un esercito di occupazione accampato nel territorio della Patria”, già assunto iperbolico per un modesto ceto di eletti e di amministratori locali, è “dedito al saccheggio”. Nei rapporti dell’Ovra degli antifascisti si scriveva: “Probabile cocainomane, dedito alla stretta di mano”. Toni è dedito alla lotta contro la spoliazione, che naturalmente è “pervicace”, e decreta nel gruppo Toti una banda di “nemici del popolo”. Lo scempio è “spudorato”, “imperterrito”, “grottesco” (tricolon). Il politico corrotto parla al telefono “stravaccato come un satrapo satollo e ignobile” (dicolon con sospetto di tri). La bassezza è “morale” e “spietata”. I palazzinari sono “osceni”, i “costruttori di ponti crollati” sono “tragici” (e vorrei vedere, ma un po’ di rispetto per le grandi opere della ricostruzione, replicate in un anno da un ceto dedito a ricostruire i ponti, eretti nel 1960, con la scienza e l’arte di Renzo Piano).
L’unica frase sensata dell’invettiva di Toni è in parentesi, e tutto il resto ne dipende: “(stando, ovviamente, all’ipotesi di reato formulata dalla Procura di Genova)”, e nella parentesi nemmeno un aggettivo. Forse a Toni è noto che le ipotesi di reato pullulano, meno frequenti le condanne dei satrapi ignobili dopo un giusto processo. Forse una resipiscenza lo ha indotto a pensare al Mose. I suoi costruttori furono tartassati di inchieste, il malaffare fu rivelato, il Mose fu costruito, magari a caro prezzo, ma difese Venezia dall’acqua alta con sorprendente disinvoltura, e per essere una delle tante opere di saccheggio del territorio della Patria difese anche la logica negata dai filosofi dell’onestà e del drenaggio di Malamocco, saben todo, sapevano loro come fare. Ora anche a Genova c’è l’assalto a un progetto di diga, speriamo bene. Resipiscenza o no, un articolo orgiastico appeso con estrema sicumera e enfiagione aggettivale a quella parentesi dovrebbe essere immediatamente messo ai domiciliari come “periodo ipotetico del tipo tricolon”. Questo fatto di non andare dritti al punto, e circondare la sostanza “sostantiva” con la derelizione “indignata” degli attributi a fanfara, secondo Fruttero e Lucentini deriva “da quel rovinoso atteggiamento che gli italiani hanno sempre avuto verso la cultura (ma anche verso la politica, l’economia, il sindacalismo eccetera) che gli fa apparire ‘serio’ soltanto ciò che è altisonante, impettito, astruso, per cui, conversamente, ogni approccio di sapore pragmatico gli sembra ignobile e superficiale” (cit. da Claudio Giunta, “Come non scrivere”, Utet, pagina 224).
Toni può sbagliare la data di Caporetto o mettere l’elettricità alla Scala nell’Ottocento, questo però è peccato veniale, il suo opus magnum su Mussolini ha avuto un meritato successo in un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori di divulgatori, dove trionfano Barbero e Augias. L’aggettivazione indignata è invece un peccato mortale contro lo spirito della lingua.