Dopo gli Stati generali
Ecco le ipocrisie del governo sulla demografia. Parla il demografo Rosina
Le misure insufficienti, i tabù sugli immigrati: parlare di natalità non basta, ci dice l'ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano
Gli Stati generali della natalità, le polemiche per le contestazioni, la ministra Eugenia Roccella che abbandona il consesso e i rischi connessi alle culle vuote. Il governo di Giorgia Meloni, dice Roccella, è il primo nella storia della Repubblica ad aver assegnato le deleghe per la natalità. Ma, dice Alessandro Rosina, ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano, per occuparsi di natalità in modo efficace c’è altro da fare, tra cui una diversa politica sul tema anche riguardo all’immigrazione. “Il calo demografico preoccupa vari paesi europei”, dice Rosina. “Il numero di figli che permette un equilibrio generazionale è di due per donna. In Francia il tasso di fecondità è sceso sotto 1,8, tanto che Emmanuel Macron vuole rafforzare le politiche famigliari nonostante la Francia le abbia già messe in cantiere, e in maniera solida”.
L’Europa, complessivamente, dice il demografo, è scesa a 1,5, “ma l’ Italia dal 1984, è sotto 1,5. Un dimezzamento nel rapporto tra generazioni: due genitori per un figlio. E non abbiamo mai invertito la tendenza”. Non solo: il dato attuale, secondo l’Istat, dice Rosina, è ancora più basso e in ulteriore peggioramento: siamo a 1,2. “Si sta accentuando lo squilibrio; si sta riducendo la popolazione in età lavorativa e l’immigrazione, da sola, non riesce a compensare. Servono quindi interventi solidi, strutturati, integrati. E l’unico modo è allineare le politiche italiane alle migliori esperienze europee. Sul sostegno economico chi fa meglio? La Germania. Ogni mese arrivano, come assegno universale, a tutti i bambini, 250 euro. L’ Italia ne eroga 50, e la Banca d’Italia dice che il costo medio mensile per allevare un figlio è di 650 euro”. Per quanto riguarda poi i servizi per l’infanzia, vedi i nidi, i paesi più virtuosi sono Svezia e Francia: nella fascia 0-2 hanno una copertura superiore al 50 per cento, dice Rosina. “In Italia si arriva a malapena al 30, con forti differenze sul territorio. Invece i servizi per l’ infanzia devono diventare un diritto, se vuoi eliminare il timore, la preoccupazione e l’incertezza. Devi sapere che se arriva un figlio la madre non dovrà lasciare il lavoro. Terzo punto: la condivisione all’interno della famiglia. La Spagna ha portato i congedi di paternità pagati al 100 per cento a 16 settimane, come quelli di maternità. Da noi i congedi di paternità sono di dieci giorni. Quanto al welfare aziendale, in Italia il part time è imposto e non lo puoi cambiare, dovrebbe essere invece scelto e reversibile”. E, vista la riduzione della popolazione in età lavorativa, “dovremmo diventare più attrattivi per l’immigrazione di qualità, ben integrata. Invece le donne e le giovani famiglie di immigrati hanno gli stessi problemi o maggiori problemi delle donne e delle famiglie italiane nella conciliazione lavoro-famiglia e nelle politiche abitative. Se continuiamo così, la migliore immigrazione snobberà l’Italia e cercherà opportunità in Francia, in Germania, in Spagna. Ci ritroveremo con un’immigrazione con meno capacità di integrazione”. I giovani, dice Rosina, non sono aiutati nel momento della progettualità. “Nell’ultima Finanziaria si prevede il sostegno alla riduzione della retta per il nido soltanto per chi ha almeno due figli. Idem per la decontribuzione che favorisce l’occupazione femminile. Ma se non favoriamo i giovani che devono avere il primo figlio, non invertirem la tendenza. La situazione si è aggravata, servirebbero scelte concrete, oggi non più rinviabili”.