Il caso
Lambrate e il governo dell'insicurezza. Gabrielli: “Ci vogliono più accordi per i rimpatri, il governo agisca”
Quello di Hasan Hamis non è un caso isolato, ma riguarda la difficoltà di procedere alle espulsioni degli irregolari. "Il fenomeno migratorio non si affronta con slogan e soluzioni improvvisate", dice il prefetto. Ieri altri agenti aggrediti
Per quanto possa sembrare una storia particolarmente paradossale, la vicenda di Lambrate, dove Hasan Hamis, 37enne di origini marocchine, ha inferto diverse coltellate al viceispettore della Polizia Christian Di Martino che cercava di impedirgli di continuare a tirare sassi contro treni e persone, contiene molte delle inefficienze legate alla gestione dell’immigrazione in Italia. Un tema che il governo ha dimostrato di voler affrontare spesso con toni propagandistici. E che adesso ha portato al solito rimpallo di accuse tra maggioranza e opposizione. Stando a quanto ha reso noto la questura di Milano, Hamis era arrivato in Italia nel 2002. Sin da allora è sempre rimasto sprovvisto di regolare permesso di soggiorno. E in tre occasioni, a Napoli nel 2004 e nel 2012 e ad Avellino nel 2023, era stato destinatario di un ordine di allontanamento. In sostanza un invito a lasciare il paese, ma senza la cogenza di una procedura che arrivi all’accompagnamento alla frontiera. “E’ evidente che c’è qualcosa che non funziona. Perché per arrivare alle espulsioni tutto passa dagli accordi con i paesi per il rimpatrio. Ma da questo punto di vista è prevalsa la logica emergenziale. Gli accordi andrebbero intensificati molto di più”, dice al Foglio il prefetto Franco Gabrielli, che dal 2023 è delegato alla Sicurezza del sindaco di Milano Beppe Sala. “Salvini all’epoca del governo gialloverde disse di voler rimpatriare 600 mila persone, poi diede una stima molto più bassa. Di irregolari fantasma, gente che per esempio va all’estero e poi torna, sappiamo che ce ne sono sicuramente tanti. Se poi ci aggiungiamo casi di marginalità diventa una vera e propria bomba pronta a esplodere. Il fenomeno migratorio va affrontato senza slogan” aggiunge Gabrielli. Ieri degli altri agenti sono stati aggrediti da un 27enne egiziano a Milano centrale.
Secondo i dati Eurostat, tra il 2013 e il 2022, a fronte di 230 mila procedimenti di espulsione, solo 40 mila di questi sono stati realmente effettuati. Perché in 186 mila casi l’ordine di espulsione non è stato eseguito. Come spiega Gianfranco Schiavone, già vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “nella assoluta generalità dei casi, nell’ordine delle decine di migliaia, preso atto che nei Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) non c’è posto si prevede il semplice ordine di allontanamento. Ma siccome le espulsioni vere e proprie sono un numero praticamente impercettibile, poche migliaia, è come se l’ordine di allontanamento svolgesse una funzione puramente simbolica”, dice al Foglio. Sempre secondo Schiavone per effettuare i rimpatri “servono accordi con i paesi di origine. Ma molto spesso questi sono paesi poverissimi. Che dicono: e io perché dovrei mettere i rimpatri in cima alle mie priorità?”. Ecco perché, come spiega ancora il prefetto Gabrielli, “per favorire il rientro dei migranti espulsi servono accordi strutturati ma soprattutto onerosi. Perché anche per questi paesi spesso i rimpatri di massa sono visti come irricevibili da parte dell’opinione pubblica”. Nel caso di Hassan Hamis, il 37enne marocchino che ha ferito a colpi di coltello il viceispettore della Polizia Di Martino, insomma, sarebbe servito un accordo con il Marocco. Già nel 2011 la questura di Avellino provò a comunicare con le autorità di Rabat sondando una disponibilità a favorire il rimpatrio, ma senza ottenere risultati.
Hamis, che ha nel suo passato svariati precedenti per aggressione con coltello e furti, era stato fermato domenica 5 maggio dalla Polizia ferroviaria di Bologna. Brandiva un rasoio con cui aveva preso a minacciare i passeggeri di un treno Italo. E’ quello stesso giorno che sarebbe arrivato a Milano, ma non era legato al capoluogo meneghino. Ieri, nell’interrogatorio di garanzia, ha raccontato di “vivere per strada” e che era “di passaggio” nella stazione di Milano Lambrate. Alla luce delle complicazioni che hanno riguardato la sua espulsione, insomma, non è difficile realizzare che quest’inefficienza nella gestione del fenomeno migratorio non lo renda un caso isolato. Sempre ieri il sottosegretario all’Interno, il leghista Nicola Molteni, rispondendo al sindaco di Milano Sala che aveva polemizzato con il governo, ha detto: “Se vuole rafforzare la sicurezza della città, con fatti concreti e non solo a parole, collabori con noi per la realizzazione del nuovo Cpr di Milano, al fine di favorire quei rimpatri che lui stesso ora invoca”. Aggiungendo che “se il sindaco ci darà una mano a ripristinare la piena agibilità del Cpr di via Corelli, danneggiato dagli stranieri trattenuti, e alla realizzazione in tempi brevi del secondo Cpr a cui stiamo lavorando al Viminale potremo insieme garantire un rafforzamento delle condizioni di sicurezza della città”. Ma come detto, l’aumento dei Cpr (il governo sta studiando di costruirne altri) e dei posti disponibili per il trattenimento non vuol dire riesca automaticamente a innalzare il numero delle espulsioni realmente eseguite. “Il sistema adesso è troppo asfittico, con un illusorio allungamento dei tempi del trattenimento”, spiega ancora Gabrielli. “E’ chiaro che i Cpr possono funzionare solo in una logica di porte girevoli. E sempre tenendo presente che l’altra grande questione, insieme alla gestione dei flussi e dei rimpatri, è l’integrazione di chi arriva. Se non si affronterà la questione migratoria con le dovute tempistiche e la necessaria condivisione degli obiettivi, senza slogan o soluzioni salvifiche, ho il timore che l’episodio di Lambrate possa non essere un caso isolato”.