L'intervista

Parla Pinotti: "Caro Pd, l'Ucraina si aiuta con le armi. Non firmo il Jobs Act. Schlein non ha spiegato"

Carmelo Caruso

"Putin non si fermerà, non si può dire siamo stanchi di fronte agli ucraini. A Genova un quadro di relazioni e favori, ma non è Corleone. Le proteste a Roccella non sono censura"

Roberta Pinotti, genovese, ex ministro della Difesa nei governi Renzi e Gentiloni, la prima donna alla Difesa,  anche lei vuole le dimissioni di Giovanni Toti? Sarà lei la prossima candidata del Pd in Liguria? “Non sarò io”. A che titolo parla? “Sono una semplice iscritta al Partito democratico, non ho incarichi in direzione, non ho incarichi in segreteria”. Oggi, a Milano, insieme a Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle, Marianna Madia e Filippo Sensi, ancora, chiederete di non lasciare sola l’Ucraina, di sostenerla con l’invio di armi. L’Italia, dicono, “è stanca della guerra”, pure  il Pd della segretaria Elly Schlein lo è. Pinotti non è stanca? “Stanchi noi? E l’Ucraina cosa deve dire? Putin non si fermerà. Dopo l’Ucraina, potrebbe esserci la Moldavia e poi non sappiamo che altro. Non possiamo accettare la resa dell’Ucraina”.

 Pinotti, dove si trova in questo momento? “A Genova”. E’ rimasta garantista o pure lei vorrebbe le dimissioni immediate di Toti, il governatore ligure arrestato? “Non commento il quadro investigativo. Non è mio costume. Ma non c’è dubbio che ciò che emerge è un quadro di compromissione dai tratti predatori, dove si dicono dei sì o dei no sulla base di convenienze, per un giro piuttosto esclusivo. Una regione non è solo opere, è anche opere, ma è anche sanità cultura, sociale. La sfida è agire con onestà. Per questo devono essere chieste le dimissioni” La sua Genova, per concludere, è un incrocio tra Corleone e Las Vegas? “Chi fa questo tipo di racconto prende un abbaglio. Sono però spie da non sottovalutare”.  Firmerà il referendum per abolire il Jobs Act come ha annunciato che farà la segretaria del Pd, Elly Schlein? “No, non lo firmerò”. Lei lo ha votato quel provvedimento? “L’ho votato”. Perché non firma il referendum? “Non lo firmo e non tanto perché fossi d’accordo su tutto. Non lo ero. Ma si è agito, sono state apportate modifiche. Non posso però dimenticare che quel provvedimento fa parte di una stagione politica del Pd. Io ero ministro di quel governo. Si può cambiare idea ma non archiviare una storia”. Si può cambiare opinione su un provvedimento, o no? “Attenzione, dal suo punto di vista Schlein è coerente. Lei è uscita del Pd, contro quel Pd, ed è stata eletta segretaria con una mozione che prevedeva l’abolizione del Jobs act”. Dunque si può cambiare, rovesciare la stagione di un partito? “Si può fare ma alla luce del sole, spiegando fino in fondo e convincendo sui perché. Il Jobs Act non era una misura per ‘indebolire il lavoro’ o per rispondere a un’ottica ‘padronale’. In un partito maturo una decisione tanto importante, il cambio di posizione va motivato, con quello che un tempo veniva chiamata ‘narrazione’, ma io definirei semplicemente spiegazione Tutto questo non è accaduto”. Il 2 giugno, il Pd ha promosso una manifestazione a Roma. Sono in molti a credere che la decisione sia sbagliata. Lei dove sarà il 2 giugno? “Come ogni anno avrei preso parte alla sfilata delle Forze armate e dei corpi dello stato ai Fori imperiali. Quest’anno purtroppo non ci sarò, ma per un motivo lieto: si sposa mia nipote e io sarò l’officiante”. Alla ministra Eugenia Roccella è stato ancora una volta impedito di parlare. Meloni ha dichiarato che quanto è accaduto è “ignobile”. E’ ignobile? “E’ sempre sbagliato impedire a qualcuno di parlare ma bisogna fare attenzione. Una cosa è la protesta, un’altra è la censura. Quanto accaduto alla ministra Roccella è una protesta non è una censura. Anche il governo deve misurare la sua reazione”. L’appuntamento di oggi, a Milano, al Centro Brera (ci sarà anche Vittorio Emanuele Parsi a dialogare) dal titolo “Identità europea e difesa comune” è una risposta contro le candidature di Schlein? “Chi pensa questo immiserisce una grande questione che riguarda la libertà, l’Europa, la difesa dell’Ucraina. In ben due momenti l’Europa si è dimostrata all’altezza e dato risposte efficaci. Il primo, durante il Covid. La risposta è stata comune, si è accettato di condividere il debito. Il secondo, riguarda l’aggressione russa dell’Ucraina. Tutti i paesi si sono schierati a favore, anche l’Ungheria malgrado i distinguo”. E però, anche il Pd sta cambiando linea e sta passando l’idea che sia l’Ucraina a non volere la pace. Lei non vuole la pace? “Certo che la voglio e la vorrei domattina, ma è Putin che non la vuole. Cosa è cambiato da quando la Russia ha aggredito l’Ucraina? Nulla. La buona volontà di Putin non c’è. Non commettiamo lo stesso errore del 2014. Allora l’Europa aveva creduto che l’occupazione russa della Crimea alla fine fosse quasi un’annessione naturale. Si è pensato che la Crimea fosse un territorio russofilo. Non era così. È stato un alibi. Putin non si ferma. L’Europa nasce dopo la Seconda guerra mondiale. Il presupposto è che nessun paese della comunità internazionale può essere aggredito e limitato nella propria indipendenza. Si risponde insieme: deboli e disuniti non siamo europei”. Stanchi? “Prima di pensare a quanto siamo stanchi noi chiediamoci a quanto sono stanchi gli ucraini. Non mi rassegno alla resa dell’Ucraina che equivale alla resa dell’Europa”.
 

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio