oltre l'inchiesta di Genova
Contro la corruzione serve combattere anche le esondazioni del pubblico
La vicenda ligure è rappresentativa di un apparato burocratico che va cambiato alla radice. Il rischio altrimenti è quello di essere inghiottiti da un "sistema Italia" di più ampia portata
Ricostruito il viadotto a tempo di record. Varate opere per miliardi, progetti a volte nuovi, altre volte insabbiati da decenni nell’indecisionismo burocratico-politico: diga, tunnel subportuale, seconda linea metro, elettrificazione del trasporto pubblico, e poi tapis roulant, parcheggi, fino alla gronda autostradale, entità mitologica degna di Harry Potter. Tutto sembrava finalmente procedere. I media esaltavano il “modello Genova”. E ora? Ora c’è il “sistema Genova”, sentina di tutti i vizi della malapolitica, con annessi risvolti pecorecci e aderenze mafiose. Giustizia mediatica al pesto, vedremo se anche sommaria.
Ribadito che se un funzionario pubblico ha barattato concessioni demaniali con soldi, fiches o puttane, è bene che si dedichi al giardinaggio (in Giappone farebbe harakiri) e che il politico che lo ha nominato sia accompagnato all’uscita; ciò premesso, per il leggendario bene comune l’attenzione va puntata anche, o soprattutto, altrove.
Nel groviglio genovese, infatti, si contestano due tipi di comportamenti. Favori indebiti a imprenditori che ricambiano con i generi di conforto detti, o più semplicemente con finanziamenti elettorali. E sollecitazioni, spesso su istanza dei soggetti (legittimamente) interessati, a che l’amministrazione pubblica svolga velocemente i compiti che le sono riservati nella gestione, autorizzazione, controllo dei progetti. E qui il tema è un altro, potenzialmente più grave. Lo Stato, se pure in Italia genera tasse e debito pubblico (entrambi) fra i più alti del mondo, dà luogo a servizi inadeguati in quasi tutti i campi, al punto che i contribuenti, se ne hanno bisogno, e se possono permetterselo, li comprano poi da soggetti privati (salute, scuola e università, trasporti, persino sicurezza personale). Dove invece il ruolo pubblico non si può surrogare, come nei progetti territoriali e infrastrutturali, scontiamo pianificazioni inadeguate, norme contraddittorie, e soprattutto tempi biblici, incompatibili con gli interessi privati anche legittimi. Ottimi progetti finiscono inghiottiti da amministrazioni ipertrofiche, opache, autoreferenziali, che sembrano mirare più al proprio autosostentamento che al servizio dei cittadini.
Qui siamo all’estremo opposto: se il sistema delle scelte pubbliche è sclerotizzato al punto che per avere risposte (positive o negative) a legittime istanze occorre “farsi raccomandare” presso il politico di turno, gli imprenditori faranno a gara per partecipare alla cena elettorale del politico – a 500 euro a coperto, magari portando con sé tutto lo staff – in modo da potergli poi chieder conto di questa o quella pratica. Se poi, come avviene da anni sotto ogni colore politico, l’ingerenza pubblica si moltiplica attraverso agevolazioni, incentivi, bonus, trattamenti personalizzati per categoria o per progetto, di volta in volta derogando a montagne di norme preesistenti che tutto vietano, allora quella diventa la regola.
Detto che imprenditori e politici sono raramente sopraffatti da sensi di colpa, i primi non avranno crisi di coscienza per il contributo elettorale (“devo pur lavorare, diamo lavoro a molte famiglie”) e i secondi meno che meno per il fatto di accettarli (“sono regolarmente tracciati”). Si arriva al punto che al sindaco di Genova si rinfaccia di aver sollecitato, presso il Comune o altri enti, tempi più rapidi in questa o quella procedura. Che è esattamente quello che deve fare, quando l’amministrazione è troppo lenta, cioè quasi sempre. Ovviamente senza nulla chiedere in cambio, e infatti nessuno lo accusa. Epperò, il “sistema Genova” nel giro di pochi giorni sembra essere diventato uno stigma per tutti.
In questa vicenda ci sono probabilmente dei funzionari indecenti. I processi ci diranno chi ha fatto cosa. Ma una volta cacciati gli infedeli nel tripudio della folla urlante (“Onestà! Onestà!”) sarà bene dare anche una ripulita al tempio, se non vogliamo rituffarci nell’immobilismo della burocrazia che inghiotte certezze e anche diritti, e rischia di diventare il vero “sistema Italia”.
Enrico Musso, Ordinario di Economia applicata università di Genova