Michele Serra a Che tempo che fa - foto LaPresse

L'editoriale dell'elefantino 

Il coraggio dei politici che dicono: “Sì, grazie. Ho bisogno di tutti”

Giuliano Ferrara

Ritirarsi in una pensioncina in Romagna non rende onesto un leader, lo rende inefficiente. La tesi di Michele Serra, l'inchiesta in Liguria e il tema dirimente della funzione della politica

Michele Serra ha incantato gli auditori di Fabio Fazio (c’è un video su X) con un breve monologo ben congegnato negli effetti. Il politico che voglia evitare le ombre delle indagini e la fine della sua carriera dovrebbe avere buon gusto, innanzitutto, e rifiutare di andare per il weekend a spese altrui a Montecarlo, posto noioso, preferendo una pensioncina in Romagna, dove si mangia bene, insomma cose così. Tutto nasce dalla consapevolezza di quanto sia decisivo un profilo autonomo dalle lusinghe della ricchezza e del lusso, di tanto inferiori al mestiere del potere bene inteso, chic. Alla fine, dice Serra, il politico serio deve imparare a dire: “No, grazie, non mi serve niente”. 

 

Suggestivo ma falso. L’uomo di potere ha sempre detto e sempre dirà: “Sì grazie, ho bisogno di tutti”. E di tutto. Con l’eleganza di tratto si perpetuano eleganti oligarchie di amici, non si fanno in democrazia dighe, ponti, strade, non si intermediano interessi leciti e borderline, non si ottiene il consenso della società civile, che bada al sodo anche in Romagna, anche in una pensioncina, non si realizza quel che c’è da fare entro certi tempi, in vista del rinnovo del mandato o di una progressione nella vita pubblica. Decisiva nella democrazia politica è la dipendenza dell’amministratore o in genere dell’uomo di potere dalla sua constituency, tanto il favore popolare, che si paga a caro prezzo talvolta, quanto l’appoggio dei ceti affluenti, degli imprenditori, dei funzionari autorizzati a certificare le procedure di appalto o a fornire altre autorizzazioni, dei professionisti interessati a un contratto o a un incarico, insomma di tutti i portatori di genuini ancorché ineleganti interessi personali e di gruppo. Non è così complicato da capire. Pare che il governatore della Liguria sia stato intercettato a bordo di uno yacht, tra l’altro un ferro da stiro forse costoso ma di mediocre standing, ancorato al molo di una città d’acqua e portuale, dove avrebbe detto al potente e ricco proprietario e imprenditore: “Devo chiederti delle robe”. Ecco, posto che non si deve violare la legge e si deve essere onesti, qualunque cosa onesti significhi ai vostri occhi, il dovere di ogni uomo di potere è esercitarlo, il potere, in una logica di scambio lecito, fatturabile, contabilizzabile, al riparo dalle vie tortuose e marce della corruzione personale. 

Il dovere dei magistrati, di converso, è portare accuse circostanziate relative al fatto che il lecito è stato aggirato, non che il buon gusto dell’amministratore lasciava a desiderare. E altrettanto vale per il giornalista o il moralista che espone le budella dell’amministrazione pubblica agli sguardi adoranti della buona fede di gruppo di un talk-show. 

Scompare da ogni censura morale, sempre e sistematicamente, il tema dirimente della funzione della politica: fare, e con efficacia, nell’interesse comune. A favore o contro qualcuno che ostacola la procedura, mettendo insieme una coalizione di interessi che promuova l’Opera, ma fare, e con efficacia. Ora Genova si è illustrata per aver fatto il ponte di Piano, che deve durare almeno mille anni, al posto del ponte di Morandi, che è crollato dopo alcuni decenni, e per averlo fatto in un anno. E subito uno scandalo tenta di farci credere che anche questa opera, come per esempio il Mose di Venezia che ha tenuto con i piedi asciutti la famosa città da salvare dall’acqua alta, non può che essere nata, nonostante la progettazione e il decreto che ne hanno reso possibile la costruzione, altro che in un contesto corruttivo. Invece una città storicamente molto scassata, con una voragine aperta e una ferita anche morale come quella del crollo del ponte, adagiata intorno a un porto cruciale per l’economia italiana ed europea, e al suo fronte di interessi conteso da quelli che il sindaco contadino chiama i “maiali”, aveva diritto e ha diritto, per decreto e per pratica politica, a un decisionismo dell’amministrazione che ha bisogno di tutti e di tutto, che deve chiedere per ottenere, a partire dalle norme e da un costume operoso. Dire: “No grazie, non ho bisogno di niente”, e ritirarsi al fine settimana in una pensioncina di Romagna è l’incubo della politica e il sogno degli ignavi. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.