Elezioni o proteste?
Statale, più voti meno tende contro Israele. La "acampada" che non convince gli studenti
L'istruttivo caso dell'Università degli Studi di Milano. Mentre i media e un po' di politici inneggiano ai militanti pro pal, la lista moderata Obiettivo Studenti raddoppia i voti e porta più persone alle urne. Strano? No, servirebbe (anche ai rettori) il coraggio di guardare i fatti e non la propaganda
Il quotidiano comunista ha scritto che “dobbiamo essere grati agli studenti che stanno manifestando nelle università statunitensi e europee. Le loro azioni non violente sono un appello rivolto alla nostra coscienza”. A giudicare da quanto avviene nelle università straniere, dove la protesta anti Israele è sovente tutt’altro che pacifica, o dagli slogan violenti nei cortei e per stare all’Italia dalle scintille di Torino o Roma, le cose non sembrano così lisce. Però se si esce dalla trita retorica del nuovo Vietnam e dei (presunti) manganelli, si scopre che nelle università le cose sono assai diverse. Il caso dell’Università Statale di Milano, dove la scorsa settimana si sono svolte le elezioni studentesche, è emblematico ed è, questo sì, qualcosa di cui “essere grati”. Il baccano mediatico è tutto per la sparuta “acampada” – in questo caso pacifica – iniziata venerdì con le solite tendine e bandiere nel chiostro del Filarete (il prato è interdetto agli studenti, ma in questo caso l’autorità accademica s’è data). Peccato che le poche decine di acampados, che pretendono di rappresentare la coscienza di tutti, abbiano appena perso di brutto le elezioni.
La maggioranza di chi ha votato – in crescita di 5 punti sulle passate consultazioni – ha scelto una lista che si tiene ben lontana dalle occupazioni e dagli slogan violenti, non fa differenza se sono parole, che indicano i nemici da abbattere. La lista Obiettivo studenti, in cui su uno zoccolo duro della storica presenza ciellina si uniscono altre componenti e libere aggregazioni, già maggioritaria negli anni scorsi, ha ottenuto il 43 per cento (era al 36) dei voti, quasi raddoppiando i consensi e surclassando le liste di sinistra, soprattutto quelle più vicine agli acampados che si erano presentate senza coalizzarsi. Obiettivo studenti ha cioè convinto una grande parte degli studenti che frequentano l’università (percentuale molto bassa, attorno al 20 per cento del totale, per vari motivi strutturali e/o tipici degli atenei a prevalenza umanistica) grazie all’atteggiamento pragmatico dei suoi militanti sulla vita dell’ateneo, sui bisogni degli studenti (vedi alla voce ricerca alloggi: le tende hanno perso l’iniziale interesse ma i problemi restano) e soprattutto, questo è significativo nella situazione “politica” di oggi, portando realismo e rispetto e un atteggiamento concretamente ispirato alla pacificazione all’interno di un dibattito che, stando più che altro ai giornali, starebbe trasformando le università italiane nell’incubatore di un nuovo Sessantotto.
“Innanzitutto va detto che qui in Statale il clima con tutte le componenti è molto tranquillo, dialogante, cosa che ad esempio non si può dire per Torino, dove gli episodi di tensione sono quasi quotidiani”, racconta Francesco Cristellon, rieletto nelle rappresentanze studentesche con Obiettivo studenti, “ma la verità è che il tema di Gaza o delle altre tensioni internazionali ha pesato poco”. L’occupazione in corso, dovrebbe durare dieci giorni, non c’entra direttamente dunque col voto, e nemmeno col suo esito: ma basta guardare le proporzioni dei consensi per vedere una certa forzatura. Dice Elia Montani, coordinatore di Obiettivo studenti e attuale presidente della Conferenza degli studenti, il parlamentino universitario: “Studentesse e studenti premiano chi instancabilmente tenta di costruire piuttosto che sabotare, dialogare piuttosto che gridare”. Come si legge in un volantino distribuito nelle università italiane, e che cita il presidente Mattarella – “le università sono sempre state luogo del libero dibattito, della critica e anche del dissenso nei confronti del potere. Dibattito, critica e dissenso collegati tra gli atenei di tutti i paesi, al di sopra dei confini e al di sopra dei contrasti tra gli stati” – “la pace si costruisce a partire da sé, dalle proprie situazioni, insieme ad altri che hanno lo stesso ideale, e si propaga dal basso: viverla, testimoniarla ogni giorno è il primo e fondamentale contributo che ciascuno di noi può dare alla pace, anzitutto in medio oriente e in Ucraina”.
Tutto questo avviene, va ricordato, nella principale università pubblica di Milano dove alcuni giorni fa, in un clima ben diverso da quello auspicato da Mattarella, era stato annullato per una presunta “altissima tensione” un convegno promosso dall’Associazione Italia-Israele col titolo “Israele: storia di una democrazia sotto attacco. Terrorismo, propaganda e antisemitismo 4.0. La sfida all’occidente” in cui sarebbe stato proiettato il docufilm “#NOVA” sul 7 ottobre. Si poteva fare di più, è stato il commento amaro dei promotori, rispetto all’atteggiamento timido del rettore Elio Franzini che aveva proposto di tenere il convegno online (per timore si rovinasse il prato del Filarete?). “Il messaggio che è passato è che, mentre l’altra parte ha avuto il diritto persino di occupare le università, a noi è stato impedito di poter discutere pacificamente del 7 ottobre e di Israele”. Franzini – e come lui i rettori di molti atenei – dovrebbe forse avere migliore conoscenza di cosa pensano gli studenti. L’esito del voto in Statale aiuterebbe. Ma siamo il paese in cui si è “grati agli studenti” anche quando ottengono di boicottare i convegni degli altri, un atteggiamento pilatesco che coinvolge purtroppo molti. Servirebbero personalità come la ministra dell’Istruzione tedesca Bettina Stark-Watzinger, che ha dichiarato “scioccante” una dichiarazione di docenti dai tratti antisemiti. O forse basta guardare la realtà delle università.