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La reazione

Sul Veneto Salvini ha fatto male i conti. “Zaia è la Lega. Il resto è fantapolitica”

Francesco Gottardi

La bordata del segretario (“ho in mente 10 nomi per il dopo Zaia”) manda la regione in subbuglio. Spoiler: i nomi non sono 10, forse nemmeno 5, “e comunque l’unico regista della transizione dev’essere il governatore”, contrattaccano esponenti del territorio. Che di Roma e Salvini non ne vuole sapere più

Lo schiaffo nel salotto del doge, alle sue spalle e alla faccia sua. Se tra Matteo Salvini e il Veneto già calava il gelo, da domenica il ghiaccio s’è rotto. E scatena la bufera. “Il terzo mandato non ci sarà: l’abbiamo proposto e votato solo noi”, sentenzia il segretario della Lega. Poi rilancia. “Per il dopo Zaia ho già in mente dieci nomi”. Come dire, tranquilli cari elettori: da qui in avanti ci penso io – e proprio per questo gli elettori si grattano. Il colmo è che Salvini aveva appena trascorso tutto il pomeriggio insieme a Zaia. Sorrisi, abbracci, foto di rito al raduno degli alpini. Poi il palco si sposta da Vicenza a Treviso, la roccaforte di Luca. Ed è lì, col governatore uscito di scena, che Matteo orchestra lo sgarbo. Il benservito.

Arriva dopo mesi di reciproci ferri corti: fine vita, candidature declinate (Zaia a Bruxelles) e disgustate (Vannacci al suo posto). Ma un simile attacco frontale lascia sgomenti pure gli amministratori del nordest. Che subito, parlando col Foglio, ricambiano la cortesia. “Zaia è la Lega. Il resto è fantapolitica”. Salvini l’innominabile agitatore. Negli uffici di Zaia sono furenti. Pure il presidente è seccato, senza abbandonare il consueto aplomb. Dopo ore di caos, lunedì sera il Carroccio rilascia una nota di chiarimento. “Il prossimo governatore del Veneto sarà della Lega”, ribadiscono da Via Bellerio. “Luca Zaia è un patrimonio per i veneti e tutti gli italiani: potrà ambire a fare qualsiasi cosa”. Ma di sicuro qualcos’altro. In sostanza, dietro la cipria e i filtri al glucosio, il comunicato conferma le parole del leader. Le sigilla.

E allora fioccano gli interrogativi: chi sarebbero questi fantomatici dieci? Zaia sarà coinvolto nel processo di transizione? Riguardo al primo punto, quel che si mormora in area Liga ha del farsesco. Perché manco Salvini conoscerebbe quei nomi. Ha sparato a caso, in preda al marasma ambientale, come Fantozzi a cena dalla contessa – “Otto? No no, almeno nove! Dieci! Trenta e lode, tiè!”. All’uomo degli elenchi devono piacere pure i numeri tondi. Ma di fatto, i veneti leali a Matteo si contano sulla punta delle dita. L’ex ministra Erika Stefani. I parlamentari Bitonci e Ostellari, invisi però alla base del partito. O magari Mario Conte, il sindaco di Treviso: governista, scuola Zaia, equilibrista. E dunque, in fin dei conti, troppo poco salviniano.

Che la spaccatura sia arrivata a un bivio, lo dimostrano i delfini designati dal vicepremier e dal governatore. I due giovani Alberti: Stefani, il segretario regionale scelto a spron battuto da Salvini; e Villanova, il capogruppo di Zaia in Consiglio. Il primo, pure deputato, è un parafulmine perfettamente addestrato. Alza la voce quando il Carroccio romano e quello veneto si battono per le medesime istanze: pretese di governo, autonomia, schermaglie con FdI e Forza Italia. Poi sparisce alla minima frizione interna (cioè spesso). Anche in questi giorni evita con cura scivolose dichiarazioni. Ma qualcosa gli è scappato. E sa di bandiera bianca. “Dobbiamo prendere atto che non abbiamo i numeri per il terzo mandato”, oggi fa eco a Salvini, nonostante la recente proposta di legge alla Camera che porta il suo nome.

Per Villanova invece “questa battaglia resta fondamentale. Abbiamo capito che a Roma non ci sentono, ma noi veneti la porteremo avanti fino all’ultimo minuto utile: c’è ancora tempo, in politica le cose possono cambiare molto in fretta”. Soprattutto se qualcuno fa i conti senza il doge. “Già. Non venderei la pelle del leone prima di averla presa”, ammonisce il consigliere. “Zaia rimane il numero uno. La sua squadra e i cittadini veneti sono molto compatti: il suo nome continua a fare paura per potenzialità elettorali e di governo. Solo questo dovrebbe spingerci a lottare ancora di più”. Invece fa paura anche a Salvini. E Villanova non si tira indietro, tracciando un ragionamento chiaro. “Il nostro partito è profondamente autonomista, ma anche profondamente autonomo. Sul futuro del Veneto avranno voce in capitolo i veneti: sia chiaro”. Altrimenti? “Il presidente Zaia dovrà avere un ruolo in regione. Se non più da presidente, come minimo da designatore delle operazioni. Lui è il nostro modello, seguito da un serbatoio di amministratori pronti al momento del bisogno. Anche attraverso la sua lista civica, che qui ha sempre avuto numeri dominanti”. 45 per cento alle ultime regionali, contro il 17 di una Lega più in salute di quella attuale. “Ma il Carroccio e la Lista Zaia sono indissolubili”. O meglio: “Zaia
è la Lega. Per questo dobbiamo essere certi di avere un regista capace di intercettare i bisogni e il sentimento della popolazione veneta. Mi auguro che il segretario Salvini non vada contro corrente: sarebbe impensabile cedere la guida della regione”. Quasi come affossare il doge in casa sua, e sperare pure di farla franca.

 

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