Il retroscena
Tajani presidente della commissione Ue: la suggestione che scuote Forza Italia e il governo
Il leader di Forza Italia fa sapere che non è interessato a succedere a Ursula von der Leyen, ma nel governo e a Bruxelles se ne parla. Viaggio tra le anime azzurre in rivolta contro Giorgetti sul superbonus
Gli affetti a Roma, ora che poi è anche nonno. E poi il partito, Forza Italia, rivitalizzato dopo – e nonostante – la morte del Cav. “Senza di lui sarebbe il diluvio”, dicono i fedelissimi (l’ultimo arrivato, via Azione, è Giuseppe Castiglione). E la famiglia Berlusconi dove la mettiamo? E’ l’unico garante dell’immutato impegno (economico) degli eredi del fondatore azzurro, salvo improbabili discese in campo di Pier Silvio. Per tutti questi motivi, e chissà quanti altri, Antonio Tajani respinge la suggestione che da un po’ gira nel Palazzo. Un bisbiglio, una riga che finisce negli articoli di retroscena, pensieri a fisarmonica: e se toccasse a lui, al vicepremier e ministro degli Esteri, andare a presiedere la Commissione europea dopo Ursula von der Leyen?
Il gran ritorno a Bruxelles di Tajani, al di là delle ambizioni nascoste o delle volontà granitiche del diretto interessato, non dipende solo dall’Italia. Rientra in un gioco di carambola e veti complicato ma non impossibile. Primo ragionamento da cui partire: il presidente della commissione, al netto dell’ipotesi tecnica di Mario Draghi, sarà espressione del Ppe? Se la risposta è sì, allora si apre un gioco che dentro Forza Italia e nel governo illustrano senza particolare convinzione, ma con dovizia di particolari. Se non toccherà alla zoppicante Ursula – nascosta nella convention di Forza Italia in modalità donna fugata con enorme insofferenza dello staff – potrebbe essere la volta dell’altra metà del Ppe, Manfred Weber, che però sempre tedesco è. Allora si aprirebbe l’ipotesi Roberta Metsola, presidente del parlamento europeo, made in Malta. Sarebbe abbastanza clamoroso visto il paese di provenienza non proprio centralissimo nello scacchiere europeo. In questa rosa, che certo sembra fantacalcio ed è piena di subordinate, rientrano per esempio i premier Kyriakos Mitsotakis e Donald Tusk, il greco e il polacco. Scenari arditi che rimettono in gioco l’Italia e quindi Tajani, tenore del Ppe, con lungo curriculum nelle istituzioni brussellesi. Potrebbe mai tirarsi indietro se i 27 leader europei gli dicessero tipo Anita Ekberg “Antonio, come here!”? In questa suggestione, perché così va chiamata, non si può non passare da Giorgia Meloni, certo. La mossa, gli accordi con le principali cancellerie e le trattative saranno nelle mani della premier italiana nonché leader dei Conservatori. Potrebbe mai la presidente del Consiglio privarsi di Tajani che le garantisce la tenuta ordinata di Forza Italia in maggioranza? Che partito sarebbe, quello azzurro, con un leader di oltre 70 anni assurto al soglio della Commissione che gira l’Europa in lungo e largo? Avrebbe la forza di resistere? Ci sarebbero reggenti, eredi oppure si scatenerebbero delle legittime, e pericolose, lotte intestine tra fazioni? Sono ragionamenti che girano nel governo, magari davanti a un caffè tra ministri, che rendono tutto complicato se non quasi impossibile. I rapporti fra Tajani e Meloni sono solidi e affiatati, nonostante la convulsa cronaca di queste ore. Con la pattuglia di senatori di FI intenti a far ballare la rumba in commissione Finanze al governo, e in particolare al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in merito alla stretta sui bonus edilizi. Un’operazione da Genio guastatori affidata a Palazzo Madama al trio di incursori Gasparri-Lotito-Damiani per non far passare la norma del governo, costi quel che costi, aprendo così una trattativa parallela. Anche se Giorgetti non ne vuol sapere e Meloni sbuffa con una certa insofferenza. “Va bene che siamo in campagna elettorale con il proporzionale, però così inizia a essere una faccenda antipatica”, sono i ragionamenti che ruotano dalle parti della premier, così tignosa sul superbonus da tentare il blitz (trasferire il suo senatore Sallemi in commissione Finanze per evitare che il voto contrario di Forza Italia sui lavori edilizi faccia andare sotto il governo). Una battaglia che Tajani è intenzionato a portare avanti perché vuole la doppia cifra alle europee. E ha capito – sondaggi interni alla mano – che il generale Vannacci al nord può dare una forte mano alla Lega e quindi anche lui va all’assalto: settimo battaglione di Forza Italia, all’attacco! E però rimane questa suggestione che nel nostro viaggio fra le anime di Forza Italia c’è e non c’è, appare e scompare. Un’ombra. “Lui non vuole”. “Non lo dice, ma ci punta: sarebbe il coronamento di una carriera senza macchie”. “Come potrebbe dire di no!”. “Non accadrà mai”. “Magari, ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ’o nuost”. “E che ne sarebbe del partito e di noi?”. Voci delle anime azzurre, che vogliono restare nell’anonimato, perché la storia qui è grande e nessuno è così avventato da metterci il nome in questo sudoku di ambizioni, famiglie politiche europee, Macron, Scholz, Meloni. Insomma, auguri. Alla fine del carotaggio c’è chi dentro Forza Italia prende il calendario. Il settennato di Mattarella scade nel 2029 così come il mandato del futuro presidente della Commissione Ue. E quindi? Quale miglior trampolino per Tajani che sogna il Quirinale, anche se non lo direbbe nemmeno sotto tortura?
Simone Canettieri