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L'editoriale del direttore

Tutti i regali di Schlein a Meloni

Claudio Cerasa

Garantismo, Ucraina, jobs act, conti pubblici. La leader del Pd ha offerto alla destra battaglie un tempo di sinistra. Risultato: mentre Meloni si avvicina al mainstream europeista, Schlein si allontana. Il caso del manifesto del Pse

Si capisce perché Giorgia non veda l’ora di sfidare Elly, no? A una settimana dal duello televisivo tra Meloni e Schlein (23 maggio, “Porta a Porta”) la domanda a cui vale la pena rispondere oggi è tanto semplice quanto disarmante: ma, esattamente, cosa resta al Pd? Ci chiediamo cosa resta al Pd, e non cosa resta del Pd, perché nella traiettoria scelta dal partito guidato da Schlein per affrontare le europee c’è un tema interessante. Ed è un tema che ha a che fare con una strategia deliberata messa in campo in questi mesi dalla leader del Pd: lasciare tutto o quasi ai propri avversari. Nel giro di quindici mesi, il Pd, per differenziarsi dall’agenda seguita dalla presidente del Consiglio, ha deciso di disinteressarsi di alcuni temi che nel passato recente hanno costituito parte dell’identità del partito. E così facendo il Partito democratico si ritrova oggi ad aver regalato a Giorgia Meloni una serie di temi importanti, cruciali, strategici. Schlein, per esempio, ha regalato alla maggioranza ogni centimetro di battaglia a favore del garantismo e piuttosto che invitare il ministro Nordio a essere coerente con alcune idee garantiste (sostenute anche dai sindaci del Pd), la leader democratica ha scelto di schierarsi al fianco dell’Anm  denunciando la deriva autoritaria del governo. Il Pd, poi, come se non bastasse, ha scelto di trasformare anche il rafforzamento dei poteri del premier in una prerogativa della destra, quando rafforzare i poteri del premier è stata per una vita una battaglia della sinistra. Ha scelto di trasformare in un tema di destra anche la difesa del mercato del lavoro plasmato sul modello  del Jobs Act (modello che ha portato al record di occupati nella storia d’Italia). Ha scelto di trasformare la difesa dei conti pubblici in una prerogativa della destra brutta, cattiva e rigorista (piuttosto che sfidare il ministro Giancarlo Giorgetti a essere coerente con la sua linea prudente sui conti pubblici, il Pd, da mesi, rimprovera al ministro dell’Economia di essere troppo prudente, poco creativo, troppo rigido sul Superbonus).

 

E ha scelto, infine, di trasformare persino la difesa dell’atlantismo in un valore perfettamente negoziabile sull’altare della rincorsa al grillismo. Il Pd di Schlein, per inseguire il Movimento 5 stelle, si sta allontanando dal mainstream europeista, proprio mentre l’odiata Meloni sta facendo passi da gigante per avvicinarsi allo stesso mainstream. E il nuovo pazzo equilibrio tra Meloni e Schlein è ben rappresentato da un documento firmato a Roma, il 4 marzo, da tutti i partiti appartenenti al gruppo dei socialisti europei: il Pse. Il documento si intitola “Manifesto del Pse per le elezioni europee del 2024” e ci sono almeno tre passaggi del documento che dovrebbero far suonare qualche campanello d’allarme al Pd di Schlein. Il Pse scrive che “il patto sull’asilo e la migrazione allontana finalmente l’Ue dall’approccio basato sulla gestione della crisi” e non bisogna avere una memoria di ferro per ricordare che l’unico partito italiano ad aver espresso parere favorevole su quel patto al Parlamento europeo è stato il partito di Giorgia Meloni mentre il partito guidato da Elly Schlein ha votato contro. Il Pse, ancora, indica come obiettivo della prossima legislatura “un nuovo partenariato tra pari con il sud globale in materia di progresso sociale, economia, energia verde, cambiamento climatico, migrazione e democrazia, attraverso una forte partnership Africa-Ue, un rilanciato partenariato euromediterraneo” e non bisogna avere una memoria da elefanti per ricordare quante critiche ha rivolto il Pd all’idea lanciata da Meloni di creare un nuovo partenariato tra pari con il sud globale in materia di progresso sociale, economia, energia verde, cambiamento climatico, migrazione e democrazia, attraverso una forte partnership Africa-Ue chiamata Piano Mattei. E infine, il Pse, nel suo manifesto strategico, considera prerogativa non negoziabile di un partito di sinistra in Europa “mantenere fermo il nostro sostegno incondizionato all’Ucraina, fornendo assistenza politica, umanitaria, finanziaria e militare per tutto il tempo necessario”, ricordando che “i nostri obiettivi ultimi sono sostenere l’Ucraina nel ripristino della sua integrità territoriale e giungere a una pace giusta e sostenibile”.

Non ci vuole, purtroppo, una memoria particolarmente allenata per ricordare qual è il partito che ha candidato alle europee soggetti desiderosi di far valere in Europa le proprie idee contro l’assistenza incondizionata all’Ucraina e qual è il partito che alle europee ha scelto di chiedere i voti anche per continuare a difendere per tutto il tempo necessario l’Ucraina di Zelensky. Il Pd, in questi mesi di leadership modello Schlein, ha dunque regalato alla destra una serie di temi che solo una sinistra ottusa può considerare di parte: difesa del garantismo, difesa dell’atlantismo, difesa dei conti pubblici, difesa del Jobs    Act, difesa dell’Ucraina. Meloni va verso il mainstream europeista, Schlein si allontana dal mainstream europeista. Si capisce perché Giorgia non veda l’ora di sfidare Elly, no? 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.