Il caso
Il silenzio di Mattarella sul premierato per Meloni è un sollievo. Ma al Colle preoccupa l'Autonomia
Il capo dello stato vuole sottrarsi dalle polemiche sulla riforma cara alla premier: non interverrà fino a quando i testi non saranno legge. Il prossimo snodo: la giustizia. Storia del rapporto complesso fra la leader di destra e il garante della Costituzione
L’unica certezza custodita nelle stanze del Quirinale è il silenzio: Sergio Mattarella non ha intenzione di esprimersi sul premierato. Questione di forma e di sostanza. Soprattutto fino a quando la riforma costituzionale non avrà terminato la doppia lettura parlamentare. Chi frequenta il Colle ricorda che il presidente di norma non è solito commentare le “bozze” delle leggi, bensì analizza i testi finali. Non è dunque questo il momento storico per aspettarsi un intervento quirinalizio. Nonostante il dibattito italiano sempre più incalzante: le parole della senatrice a vita Liliana Segre, per dire, ieri sono sbarcate sul Times di Londra con il titolo “Il piano di riforma di Meloni riecheggia Mussolini”. La non belligeranza – fino a prova contraria – di Mattarella sul premierato è una consapevolezza che rimbalza anche a Palazzo Chigi dalle parti della premier. E fa tirare a tutti un sospiro di sollievo. Non lo si può chiamare patto, quello fra il capo dello stato e la premier. E’ più che altro l’interpretazione di due ruoli istituzionali diversi che al momento non si incroceranno “sulla madre di tutte le riforme, per dirla melonianamente. Al contrario c’è chi scommette che al centro delle preoccupazioni di Mattarella al momento ci sia l’autonomia, come raccontano, controluce, i periodici richiami “sulla Repubblica indivisibile” e sul rischio di “dividere nord e sud”.
In subordine c’è la riforma della giustizia, con la separazione delle carriere dei magistrati, che investe il presidente del Csm. La premier vuole portare il testo in Consiglio dei ministri prima delle europee. I rapporti fra Meloni e Mattarella, quando non sono diretti, vengono definiti buoni. L’ultimo confronto fra i due sabato scorso sul decreto Agricoltura del ministro Lollobrigida. Certo, tra la leader di Fratelli d’Italia e il garante della Costituzione in questo anno e mezzo non sono mancati momenti di attrito istituzionale: il caso pubblico più eclatante riguarda la manifestazione di Pisa con gli studenti manganellati dalla polizia. Ma tutto sembra rientrare in una dinamica istituzionale, scadenzata da agende e impegni comuni: il prossimo appuntamento la settimana prossima al Quirinale con il consiglio supremo di difesa.
Giova ricordare che l’attuale presidente del Consiglio in entrambe le occasioni decise di non far votare a Fratelli d’Italia l’attuale inquilino del Colle. Rivendicandone pubblicamente la scelta. Ma questi sono “dettagli” che rientrano in un rapporto ben più complesso. Lei lo ritiene pubblicamente “una personalità unificante della nazione”. In questa cortina di silenzi e sospetti che da sempre abita i due Palazzi della vita italiana sembra appunto che il premierato sia destinato a restare fuori dalla contesa. D’altronde Mattarella gestì già nel 2016 la riforma costituzionale di Matteo Renzi (sicuramente meno impattante sulle sue prerogative).
In questo caso a maggior ragione il capo dello stato tende a sottrarsi e a evitare che l’opposizione lo usi come scudo, che lo strattoni e che lo riduca a vessillo da sbandierare contro Palazzo Chigi. Questo non significa che sia un sostenitore della riforma, sicuramente al di là del ruolo e da cultore della materia conserva un’opinione ben chiara sull’argomento. Solo che – e qui la forma sì che è sostanza – non è intenzionato a entrare nel dibattito. Almeno fino a quando le bocce non saranno immobili.