Giorgia Meloni - foto LaPresse

Egemonia al contrario

Lo spasso della destra che usa la sinistra per legittimare le sue riforme

Claudio Cerasa

Dalla giustizia all’autonomia passando per la Liberazione, il tax credit e il premierato. Lo strano caso dei partiti di maggioranza che per giustificare le proprie riforme dicono che in fondo sono un po’ di sinistra. Un catalogo con uno sguardo al futuro

Tu chiamala se vuoi egemonia culturale, ma al contrario. C’è un fenomeno interessante che riguarda il tentativo della destra italiana di imporre le proprie idee, quelle più importanti, nel dibattito pubblico del nostro paese. Il fenomeno potrebbe essere così descritto: io, destra, voglio affermare le mie ragioni, le mie idee, i miei progetti e per farlo però ho bisogno di trovare un modo per coprirmi le spalle dagli attacchi della sinistra. Io, destra, credo in quello che propongo, più o meno, ma so anche che una riforma troppo di destra incontrerebbe molti ostacoli e dunque ogni volta che ne ho la possibilità devo trovare un modo creativo per dimostrare che quel che voglio fare, pur essendo certamente di destra, è quello che vorrebbe anche la sinistra, o almeno un pezzo di essa. Logica cristallina: io questa cosa la voglio fare, questa cosa molto di destra, ma in fondo questa cosa molto di destra che voglio fare non è davvero di destra, non vi preoccupate, e guardate quanti sono quelli di sinistra che la pensano come noi. I casi utili per mettere a fuoco questo fenomeno sono molti.

Ma i più eclatanti, i più recenti, sono quattro. L’ultimo, il più interessante, si è manifestato l’8 maggio, quando la premier, intervenendo al dibattito sul premierato organizzato dalla Fondazione De Gasperi e dalla Fondazione Craxi, ha scelto di soffermarsi per qualche secondo su un passaggio interessante. Premessa, poi la ciccia. “Nell’ambito di questo lungo dibattito, a me piace citare Costantino Mortati, uno dei padri del costituzionalismo italiano, che nei primi anni Settanta diceva: ‘Non sembra dubbio che la preferenza debba andare alla elezione popolare del primo ministro, ciò soprattutto allo scopo di porre accanto a questo organo responsabile davanti al popolo dell’indirizzo politico di cui è espressione, un capo dello stato, che non desuma la sua investitura direttamente dal popolo”. E poi la ciccia, la sinistra: “Lo stesso ragionamento – ha detto Meloni – è stato fatto con accenti diversi da Bettino Craxi, che si era fatto promotore di una riforma in senso presidenziale”. 

“Penso alla proposta elaborata da Cesare Salvi, durante la Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, che aveva l’assenso dei popolari, della sinistra democratica e dei verdi, che prevedeva l’elezione diretta del presidente del Consiglio”. Salvi e D’Alema: bingo! Lo stesso tipo di ragionamento lo ha fatto, negli ultimi mesi, anche la Lega, che per promuovere la legge fortemente voluta sull’autonomia ha chiamato in causa più volte il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che negli ultimi anni, più volte, non ha nascosto di essere un sostenitore di una legge finalizzata a migliorare l’autonomia differenziata, provvedimento che in passato Bonaccini ha definito, potenzialmente, “di portata storica”. Il vero maestro però dell’utilizzo delle affermazioni della sinistra per giustificare l’operato di destra è il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che dopo aver provato ad appropriarsi, con un’operazione spericolata di Antonio Gramsci, e dopo aver provato a iscrivere a una qualche corrente della destra persino Dante Alighieri, per fare un dispetto a Roberto Benigni, ha scelto, nelle sue recenti uscite pubbliche, di utilizzare le parole offerte da un regista molto amato dalla sinistra, Marco Bellocchio, per giustificare la sua politica restrittiva sul tax credit.

“A questo fiume di denaro pubblico non sempre ha corrisposto la qualità: mi ha fatto piacere leggere, a riguardo, una opportuna dichiarazione di Marco Bellocchio, secondo cui molti suoi colleghi farebbero bene a cambiare mestiere”, ha scritto il ministro proprio sul Foglio il 9 aprile. Lo stesso tentativo, negli ultimi mesi, lo ha fatto più volte il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che dovendo spiegare ai suoi interlocutori perché sia un dovere riformare la giustizia in senso garantista ha scelto in diverse occasioni di appellarsi alla saggezza di un eroe della Resistenza, l’ex ministro Giuliano Vassalli. Tesi di Nordio: “Viviamo una contraddizione normativa, di un codice penale, firmato da Benito Mussolini, che resiste e un codice di procedura penale, ideato da un eroe della Resistenza, come Giuliano Vassalli, che è stato nel tempo snaturato”. La stessa tecnica descritta finora, usare la sinistra per dimostrare che una scelta di destra non è così di destra, è stata utilizzata da Giorgia Meloni anche un anno fa durante le celebrazioni del 25 aprile, quando in una lettera al Corriere della Sera, parlando degli episodi di intolleranza verificatisi negli anni contro la Brigata ebraica durante la festa della Liberazione, disse quanto segue: “Mi domando se queste persone si rendano conto di quanto, così facendo, indeboliscono i valori che dicono di voler difendere. E’ probabilmente questa consapevolezza ad aver spinto Luciano Violante a individuare – nel suo memorabile discorso di insediamento da presidente della Camera quasi trent’anni fa – proprio in una certa concezione proprietaria della lotta di Liberazione uno dei fattori che le impedivano di diventare patrimonio condiviso da tutti gli italiani”.

Usare le tesi della sinistra per dimostrare che le idee di destra sono idee giuste e non pericolose per il paese. L’egemonia al contrario della destra denota un’insicurezza nei propri mezzi, naturalmente, ma è la spia anche di un tema diverso, di fronte al quale la sinistra dovrebbe interrogarsi: ma se gran parte delle riforme identitarie delle destre sono state almeno una volta sostenute da un qualche volto importante della sinistra ci si può limitare a dire che la sinistra che ha sostenuto riforme che oggi porta avanti la destra lo ha fatto perché era di destra e non perché semplicemente aveva intercettato idee trasversali? Lo stesso tema, probabilmente, si porrà nei prossimi giorni, quando la destra ricorderà che a sostenere la necessità di separare le carriere non è solo la destra ma anche la sinistra, e quando consiglierà di rileggersi un libro sulla giustizia scritto a quattro mani da Carlo Nordio e Giuliano Pisapia, “In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili”, dove il futuro ministro della Giustizia della destra e il futuro sindaco di Milano del centrosinistra concordavano sulla seguente affermazione: “Non si può altresì non sottolineare che una più netta separazione funzionale (delle carriere) non lede in alcun modo il principio di indipendenza della magistratura inquirente”. E’ l’egemonia culturale al contrario, bellezza.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.