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Le proposte

Come le istituzioni comunitarie dovrebbero ripensare il social housing

Giorgio Santilli

Il capo dei costruttori europei ci spiega perché i partiti devono lottare per un nuovo Next Gen

L’Europa degli investimenti fatica a tenere testa a obiettivi ambiziosi e ha bisogno di un pit stop, al cambio di legislatura, per evitare che i buoni propositi del Green Deal e del Next Generation Eu si perdano per strada o, peggio, restino inattuati a fare danni in mezzo al guado. A proporsi come alleato, interessato, della futura commissione europea per accelerare le spese e rimuovere gli ostacoli scende in campo un costruttore friulano, Piero Petrucco, dedito alle tecnologie di ingegneria del sottosuolo, da ieri il nuovo presidente della Federazione dell’industria europea delle costruzioni (Fiec) che raccoglie 32 federazioni (fra cui l’italiana Ance) di 27 paesi europei, con più di tre milioni di imprese e dodici milioni di lavoratori. “Rappresentiamo il 10 per cento del pil europeo e il successo del Piano di ripresa e resilienza – ha detto giovedì all’insediamento – in tutti i paesi europei è strettamente connesso al settore delle costruzioni. Dalla riuscita del Piano possiamo infatti partire per immaginare di costruire strumenti finanziari europei finalizzati alla realizzazione della direttiva case green. Su questo punto, in particolare, ci auguriamo un confronto costante con le istituzioni europee, per valutare gli impatti operativi e finanziari della direttiva sulle imprese e sulle famiglie”.

 

La grande lobby europea dei costruttori ha sposato in pieno le politiche di riforme di von der Leyen e ora è consapevole che uno scatto ulteriore è necessario per non far morire strumenti che si sono imposti come straordinari e hanno bisogno di benzina per macinare risultati. Petrucco sceglie tre temi fondamentali preoccupandosi di dare sempre allo sforzo di investimento anche un connotato sociale (forse una strizzatina d’occhio anche alla Meloni e a possibili cambi di maggioranze a Bruxelles). 

 

Il primo tema è la prosecuzione del Next Generation Eu con nuovi strumenti comuni europei che possano finanziare gli obiettivi ambiziosi dell’Unione, soprattutto in termini di transizione ecologica. Se non si darà seguito all’esperienza del Next Gen con nuovi strumenti di debito comune sarà difficile dare continuità a una politica di investimenti europei. Anche la riforma della governance economica UE è piuttosto neutra verso gli investimenti, né troppo coraggiosa né troppo penalizzante, ma senza sostegno finanziario alle principali priorità il nuovo patto di stabilità rischia di essere solo un freno. Non esiste solo la Difesa comune europea, che rischia di fare da asso pigliatutto nella prossima legislatura, sta forse pensando Petrucco.

 
Il secondo tema non può che essere l’attuazione della direttiva “case green” e l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare per cui pure urge un fondo europeo senza il quale nessun Paese riuscirà, con le risorse private e quel poco di bilancio pubblico disponibile (in Italia rischia di tendere a zero dopo il Superbonus), a raggiungere obiettivi imponenti.  Il bivio per l’Europa rischia di essere finanziare o rinunciare. Qui Petrucco rafforza l’accento sociale e chiede che i fondi vadano alle famiglie più povere e alle periferie, per evitare distorsioni come quelle introdotte dal Superbonus.

 
Ma il Green Deal è un tema molto più largo, non è solo quello delle case green, soprattutto da quando i costruttori si sono messi in testa di poter essere un attore fondamentale della transizione verde e della riqualificazione delle città in senso ecologico. Piste ciclabili e nuovi servizi, recupero di spazi pubblici, altro che cemento a palate.

 

La novità del menù è però la richiesta di una politica europea per la casa che risponda a una domanda di aiuto crescente dei ceti medi e dei giovani, bloccati dal costo del denaro, dall’inflazione, dalle difficoltà del mercato del lavoro. Il dato nuovo è il crollo in tutta Europa dell’offerta di abitazioni: il mercato si è fermato in Germania, in Francia, addirittura nei paesi nordici che sono sempre stati un punto di riferimento per le politiche abitative avanzate. È in crisi il modello del social housing, erede delle socialdemocrazie degli anni ’70 e rilanciato nell’ultimo ventennio con una iniezione di finanza “mista” e di terzo settore, ma affondato da ultimo dall’esplosione dei costi di costruzione e dalla incapacità crescente di coniugare obiettivi pubblici e risorse private nei processi di trasformazione urbana. Infatti, dice Petrucco, quel modello “va ripensato”. Come? Con risorse e strumenti nuovi, in cui la Ue deve fare la propria parte per tenere incollato al tavolo chi porta capitali e capacità imprenditoriali e chi detta gli obiettivi urbanistici e di case “pubbliche”.

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