Il racconto

Ecco don Lollobrigida, il discreto fratello prete del ministro bum bum

Simone Canettieri

Il salesiano Maurizio si occupa di formazione a Genova: conosce la città, ma si sottrae dalle dichiarazioni sull'inchiesta che ha travolto la città. Al contrario del fratello, ministro della Sovranità alimentare e della sparata facile. Vite allo specchio

Uno crede nell’effetto irenico del vino e del buon cibo: “Quante guerre non ci sarebbero state di fronte a cene ben organizzate?”.  L’altro si affida all’acqua santa e all’olio di gomito per dare un lavoro ai ragazzi senza futuro in una delle tante Scampie d’Italia, a Genova, quartiere Sampierdarena. Sono i fratelli Lollobrigida, ministro e prete. Il più grande, Francesco, è il deus della Sovranità alimentare e della  frase spettinata (quella sulla diplomazia della forchetta, pronunciata durante l’inaugurazione del suggestivo stand “Divina nazione” al Foro italico, candida la gaffe del meloniano a patrimonio dell’Unesco insieme alla cucina italiana).  


Il mezzano, Maurizio, il salesiano don Maurizio Lollobrigida nel solco di san Giovanni Bosco, vive in Liguria da sei anni, lontano da Roma e dagli echi del Palazzo. Discreto, con un’unica concessione mondana: andare a vedere, quando può, la Lazio allo stadio. Faceva l’avvocato poi dopo due viaggi nel 2008 nell’Africa disperata decise di prendere i voti. Fa politica in senso aristotelico. Guida il Centro di formazione regionale delle opere salesiane. “Mio fratello spiega ai ragazzi l’importanza sociale della formazione e del lavoro come riscatto in risposta al reddito di cittadinanza”, disse una volta il ministro a questo giornale a proposito del fratello, “don Lollo”.
 

Siamo andati a cercare il fratello del cognato d’Italia (che  sarebbe il “compare” della premier Giorgia Meloni, quindi il compare d’Italia). Per sapere, per esempio, cos’è in questo momento Genova per lui. Se è una Tangentopoli come un’altra, se l’inchiesta su Giovanni Toti, il porto e Aldo Spinelli, ha lasciato i giorni tutti uguali, riguadagnati dopo il crollo del ponte Morandi e cantati da Paolo Conte e Bruno Lauzi. Si cercava un titolo da portare a casa  la giornata, si è trovato un personaggio che resta. Laborioso e puntuale, altro che Frecciarossa, con fermata a Ciampino. Don Lollo conosce il governatore finito nei guai. Ha partecipato a convegni e tavole rotonde con il sindaco Marco Bucci. Ha il polso della città, da studioso di diritto saprebbe leggere anche le carte della procura e l’ordinanza del gip.


Chi conosce per la prima volta i due fratelli Lollobrigida – ce n’è anche un terzo che fa il dentista nella capitale – resta colpito: i due parlano uguale, stesso accento romano-sublacense. Eloquio svelto, battuta rapida, capacità di essere ruvidi nella cortesia. “Non parlo, grazie, buon lavoro”. Chi sarà dei due? Comunque abbastanza impressionante, questo sì. Tipo le sorelle Meloni. Non a caso Arianna fino a poco tempo – e chissà che non lo faccia ancora – era solita per goliardia chiamare al telefono fingendo di essere la leader di Fratelli d’Italia. “Daje a ride”.


Il fatto è però che don Lollo vive nella liturgia del gioioso silenzio con la stampa. Non partecipa, magari parteggia, ma non si espone.  Il Foglio ha provato a contattarlo, nel giorno in cui i social network si esercitavano con sapida ironia sull’ultima uscita del fratello maggiore. Ma nisba, non è come intercettare il ministro alla buvette di Montecitorio. Uno che se è in forma, e ne ha voglia, è in grado, lui sì, di illuminare la giornata uggiosa dei giornalisti.  Fonte di enormi soddisfazioni per i cronisti parlamentari che lo hanno eletto a patrono della categoria: San Lollo da Subiaco. Resta la curiosità di un’opinione interessante sul caos di Genova che però resta avvolta dal no, grazie.


Don Lollo, infatti,  ha rapporti istituzionali legittimi e normali – sia chiaro – con le autorità liguri. Chi lo conosce assicura che non ha avuto modo di farsi un’idea sull’inchiesta che sta travolgendo, almeno sui giornali, la Superba. E comunque non gli interessa esprimersi, non è il suo lavoro. Per lui sono tutti amici e interlocutori in maniera asettica. E’ la vera diga di Genova. Aiuta i ragazzi di un quartiere complicato a diventare carrozzieri, piuttosto. Si sa che ebbe la folgorazione durante un viaggio in Angola al seguito dei salesiani. Il resto lo racconta internet e il motore di ricerca di Google. Giusto una volta spuntò alla Camera, un lunedì mattina, quando il governo era appena nato. Con grande orgoglio del fratello ministro. Vi può invitare a Genova, tra i caruggi, a vedere come lavora, tra i ragazzi, se siete fortunati e lasciate il taccuino a casa. Ma la passione politica la tiene nel sacco dei ricordi. Chissà cosa accadrebbe se i fratelli Lollo – fratelli d’Italia perché c’è sempre uno zio prete – si scambiassero lavoro e abito per un giorno. Uno in parrocchia e l’altro nell’ufficio che fu di Camillo Benso conte di Cavour (a cui il ministro, ha confessato al Foglio, di ispirarsi: ma questa sì che è un’altra storia, e un altro brindisi).
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.