Deriva ungherese?
La surreale commissione che vigila sulla nostra libertà di stampa
L'Fnsi invita in missione i rappresentanti del consorzio europeo Mfrr: "C'è preoccupazione per l'interferenza politica sui media". Ma la conferenza stampa si risolve in un attacco al Jobs ace e all'invito al governo a non rinnovare il cda in scadenza
L’Italia? “Rischia una deriva ungherese”. La pressione sui media? “E’ senza precedenti, ed è da qui che si parte sempre per scivolare verso l’autocrazia”. A via Sommacampagna si parla con toni concitati. La conferenza stampa è stata organizzata d’urgenza nella sede nazionale dell’ordine giornalisti, dentro una sala che normalmente ospita gli orali dell’esame professionale. Vittorio Di Trapani, un passato decennale da capo del sindacato della Rai Usigrai, oggi presidente dell’Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti, è accigliato almeno quanto è abbronzato. Non ha dubbi: “C’è un caso Italia: c’è molta preoccupazione per quello che sta accadendo”. E’ stato lui a chiedere ai rappresentanti della Media freedom rapid response (Mfrr) – il consorzio europeo che si occupa di libertà di stampa – di anticipare di qualche mese la missione italiana e costatare con mano quella che adesso anche loro definiscono “l’interferenza politica senza precedenti sui media”. Ma cosa sta succedendo di così grave in Italia? Stiamo scivolando davvero verso il modello Orbán? Ad ascoltare i convenuti si direbbe che la deriva ungherese più che Giorgia Meloni, l’abbia fatta già una decina di anni fa Matteo Renzi e che i signori e le signore dell’Mfrr più che in leggero anticipo siano arrivati in notevole ritardo. Al centro del dibattito ci sono due cose: il Jobs act e il rinnovo del cda della Rai “con la legge Renzi”. Sarà la vicinanza fisica e temporale tra questa conferenza stampa e quella di Maurizio Landini nella sede della Cgil, ma il risultato è che come primo punto Di Trapani annuncia: “L’Fnsi aderisce ai referendum sul lavoro previsti dalle Cgil e solleciteremo colleghe e colleghi a firmarlo”. E’ il Jobs Act bavaglio, nemico della libertà di stampa.
Ma la cosa che qui sta davvero a cuore a tutti è un’altra cosa: il prossimo rinnovo del cda della Rai. La questione preoccupa l’Fnsi. E adesso anche il consorzio europeo: non si può rinnovare così perché la legge è contraria al nuovo European media information act. Sarà. Ma com’è possibile allora che la nomina del cda Rai diventi una tale emergenza soltanto adesso? E i precedenti due cda nominati tutti con la stessa normativa nel 2018 e nel 2021?
Rai a parte però, vogliamo capire di più. Cosa sta facendo il governo attuale per far temere così tanto per la libertà d’informazione? Innanzitutto né il ministro della Giustizia Carlo Nordio, né il viceministro Francesco Paolo Sisto hanno incontrato i rappresentati dell’Mfrr “per impegni pregressi”. A dire il vero a dare buca per analoghe ragioni è stato anche il dem Walter Verini. Scopriamo poi che il problema riguarda cose che per adesso non sono accadute. Come la diffamazione. Si cita la recente condanna di un giornalista a otto mesi di carcere, ma questo fatto è avvenuto con la normativa attuale: cosa c’entra dunque l’attuale governo? Si parla allora del disegno di legge firmato dal senatore di FdI Alberto Balboni per modificare la diffamazione, come se prevedesse la galera per i giornalisti. Ma quell’ipotesi era contenuta nell’emendamento di un altro senatore di FdI, Gianni Berrino, ed è stata accantonata.
L’altro spauracchio che dimostrerebbe la deriva orbaniana riguarda l’emendamento Costa. La norma firmata dal parlamentare di Azione per vietare la pubblicazione completa delle ordinanze di custodia cautelare, già soprannominata “legge Bavaglio”. Ma, approvato da entrambe le Camere, l’emendamento è finito in una delega al ministro Nordio che per adesso non l’ha attuata. Non ha impedito, a esempio, la pubblicazione a puntate dell’inchiesta su Giovanni Toti. Si vedrà se il ministro la tradurrà mai in atti concreti. Anche fosse, come ammetteva ieri la segretaria generale dell’Fnsi Alessandra Costante: “Anche in Germania c’è una legge del genere. Ma l’Italia merita una legislazione più civile”.