l'editoriale del direttore
Lezione sugli immigrati: l'agenda Vox fa male alla demografia e al pil
Lotta agli irregolari, braccia aperte ai migranti regolari. Avviso ai governanti: la Spagna cresce facendo l’opposto di quanto chiedono gli estremisti xenofobi di Vox. Negli Stati Uniti, idem. È ora di ascoltare le imprese e aumentare gli arrivi regolari
C’è stato un tempo in cui la politica raccontava soprattutto a sé stessa che il benessere di un paese è inversamente proporzionale al numero di migranti accolti. Il ragionamento era grosso modo questo: più sono i migranti, meno sono i posti di lavoro, meno sono i posti di lavoro più i nativi sono disoccupati, più i nativi sono disoccupati e più gli elettori sono arrabbiati, più gli elettori sono arrabbiati e più la vita di chi governa diventa un incubo. Negli ultimi mesi, però, la favola raccontata dagli amici del giaguaro sovranista si è completamente ribaltata e il dato interessante è che oggi vi sono diversi casi di studio, alcuni anche molto vicini all’Italia, che dimostrano che la teoria esposta un tempo dal partito della xenofobia si è semplicemente capovolta. Il caso spagnolo, la Spagna dei temibili amici xenofobi di Meloni, la compagnia di Vox, che ieri ha radunato in Spagna pezzi più o meno estremisti della destra mondiale, è interessante. Ed è interessante perché la Spagna guidata da Sánchez ha raggiunto risultati importanti facendo l’opposto di quello che chiedono da anni gli estremisti di Vox: più immigrati.
Negli ultimi anni i governi spagnoli hanno optato per una strada semplice: non arretrare di un millimetro nella lotta contro gli immigrati irregolari (do you remember Ceuta?) ma fare di tutto per accogliere un numero sempre più alto di migranti regolari.
All’inizio degli anni Novanta, in Spagna la quota di immigrati residenti era pari al tre per cento della popolazione. Oggi rappresenta il 17 per cento. Si tratta di una delle quote più alte d’Europa (media europea: 13 per cento). Reuters, giorni fa, ha dedicato un interessante approfondimento al tema spagnolo. Ha notato che la Spagna sta assistendo a un circolo virtuoso in cui “un afflusso di lavoratori stranieri sta aumentando l’offerta di lavoro e aumentando il tasso di crescita economica” e si è affidata a un importante professore di Economia dell’immigrazione di Madrid, Jesús Fernández-Huertas, per sintetizzare il tema: “Mentre l’economia spagnola migliora, i migranti arrivano, e mentre arrivano, l’economia migliora” (la Spagna crescerà nel 2024 del 2,1 per cento, dopo il 2,5 per cento del 2023, e nel 2025 dell’1,9 per cento: quasi il doppio dell’Italia). Secondo Raymond Torres, capo economista di Funcas, un think tank con sede a Madrid, l’immigrazione ha rappresentato il 64 per cento dei nuovi posti di lavoro creati e la metà della crescita economica della Spagna nel 2023. Un tempo, nota Funcas, gli immigrati in Spagna erano soliti coprire posti vacanti poco qualificati nei settori dell’edilizia e dell’aiuto domestico.
Oggi, invece, la crescita dei posti di lavoro dei migranti si è verificata nel settore della tecnologia o della scienza, che è più che raddoppiato tra il 2018 e il 2023. La Spagna facilita l’ondata migratoria attraverso visti per professionisti altamente qualificati. Marianela Morales, una programmatrice di algoritmi di 28 anni proveniente dall’Argentina, ha detto a Reuters che ci sono volute solo tre settimane per ottenere il suo visto per lavorare presso Imdea, un istituto di istruzione superiore di Madrid dove svolge ricerche sul miglioramento degli algoritmi.
La Spagna però non è un caso isolato. Ci sono altri paesi importanti, in giro per il mondo, in cui vi è un rapporto stretto tra aumento dell’immigrazione (regolare) e aumento del pil (e del lavoro).
Un caso su tutti: gli Stati Uniti. Il presidente della Federal Reserve Jerome Powell nelle ultime settimane ha più volte citato l’immigrazione come “una delle ragioni alla base della forte crescita economica”. Il mese scorso, il Congressional Budget Office (Cbo) ha calcolato che l’immigrazione genererà un aumento di 7 mila miliardi di dollari del prodotto interno lordo nel prossimo decennio. Secondo Michael Feroli, capo economista statunitense di JP Morgan, l’immigrazione è stata “importante per il ritmo sorprendente della crescita dell’occupazione, anche insieme a un tasso di disoccupazione in modesto aumento. E questo, a sua volta, è stato uno dei fattori alla base della crescita complessiva sorprendentemente forte del reddito e della produzione” (pochi giorni fa, la Federal Reserve ha aumentato la proiezione di crescita del pil statunitense al 2,1 per cento per il 2024, rispetto all’1,4 per cento delle previsioni di dicembre). Secondo l’analisi dei dati governativi dell’Economic Policy Institute, l’anno scorso gli immigrati hanno rappresentato la cifra record del 18,6 per cento della forza lavoro negli Stati Uniti. E ancora. Uno studio condotto da Wendy Edelberg e Tara Watson, economiste dell’Hamilton Project della Brookings Institution, ha concluso che negli ultimi due anni i nuovi immigrati hanno aumentato l’offerta di lavoratori nell’economia e hanno consentito agli Stati Uniti di generare posti di lavoro senza surriscaldare e accelerare l’inflazione (nel 2019, il Congressional Budget Office aveva stimato che l’immigrazione netta – arrivi meno partenze – sarebbe stata pari a circa 1 milione nel 2023: il numero reale, ha affermato il Cbo a gennaio, era più del triplo di quella stima: 3,3 milioni). “L’immigrazione non è solo una questione sociale e politica molto impegnativa, è anche una grande questione macroeconomica”, ha scritto la scorsa settimana in una nota ai clienti Janet Henry, capo economista globale di Hsbc Holdings Plc. Come nota Bloomberg, il tono positivo tra gli economisti “contraddice quello visto durante la campagna elettorale”, dove l’aumento dell’immigrazione è considerato un tema drammatico, e secondo un recente sondaggio Gallup, la percentuale di americani che vede l’immigrazione come il problema più importante che gli Stati Uniti devono affrontare corrisponde ora a un livello record risalente a quattro decenni fa. Dunque, che fare? Assecondare gli elettori preoccupati, rischiando di mandare a rotoli l’economia, o sfidare gli elettori indignati provando ad attingere dall’agenda della realtà per creare crescita, benessere e lavoro, allargando la platea dei contribuenti che pagheranno le pensioni del futuro? La lezione del caso spagnolo e del caso americano è in verità molto chiara e non dovrebbe offrire margini di ambiguità. Per evitare un forte calo dell’offerta di lavoro e quindi della crescita potenziale dell’economia europea occorre uno sforzo significativo per consentire un ingresso regolare e controllato di immigrati e la loro integrazione nel mercato del lavoro. Perché più aumenta l’immigrazione, più aumenta il pil, più si abbassa l’inflazione, più aumenta il lavoro. E d’altro canto, se proprio si vuole fare un passo avanti sul tema, per evitare di parlare di demografia senza ipocrisia non si può affrontare solo il tema della natalità: occorre mettere da parte la demagogia, la retorica e la paura dello straniero quando si parla di immigrazione. L’Italia, con il governo Meloni, ha fatto una scelta coraggiosa, e nel 2023 ha deciso di ammettere complessivamente 452 mila cittadini stranieri, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, così suddivisi: 136.000 cittadini stranieri per l’anno 2023; 151.000 cittadini stranieri per l’anno 2024; 165.000 cittadini stranieri per l’anno 2025. Le imprese italiane però dicono che i numeri non bastano, lamentano una manodopera che manca pari a 2,5 milioni di richieste insoddisfatte. E a quanto risulta al Foglio, il ministro dell’Interno ha avuto mandato di valutare come e quanto aumentare la quota già prevista per il 2024 e il 2025. Lavorare per avere più migranti, per un paese governato dalla destra, non è semplice, ma le alternative oggi non ci sono: per risolvere buona parte dei problemi che ha un paese come l’Italia quando si parla di crescita, demografia, natalità, lavoro, produttività, ci sono poche scelte diverse da quelle fatte da Spagna e Stati Uniti: più migranti regolari, bellezza. Vale per tutti. Ma vale soprattutto per i paesi con una fertilità bassa, una crescita insufficiente, una demografia in difficoltà. Meno Vox, più realtà.