Il Foglio Weekend

I maschi alfa del secolo breve: vite parallele di Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi

Michele Masneri

"B. Una vita troppo" e "L'ultima dinastia", due libri che scavano tra memorie, archivi, cambiamenti di costume e del gusto, buono e cattivo per raccontare due uomini simbolo degli ultimi trent'anni

Mare o montagna? Slip o boxer? Per anni Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi hanno rappresentato due mondi paralleli e alternativi, destinati a incontrarsi poco. Agnelli era nato nel ‘21, e morto nel 2003, Berlusconi fu fondato nel ‘36 e mancò nel ‘23. Ma Cosa rimane oggi di questi due esemplari della meglio razza di maschioni italici? Due libri scavano ancora tra memorie, archivi, cambiamenti di costume e del gusto, buono e cattivo. Il primo è l’opus magnum di Filippo Ceccarelli, il Lévi Strauss del Transatlantico (inteso come retro del Parlamento). Il suo “B. Una vita troppo” per Feltrinelli è l’opera definitiva sul Cav., per peso e dimensioni e magnifico inserto fotografico: è più di un coffee table, è un frappuccino berlusconiano, denso di segni, presagi, autobiografia, ossessione. Andrebbe venduto insieme col cavalletto tipo i Taschen da collezione (magari disegnato da Cascella). L’altro è “L’ultima dinastia”, più classico volume anche questo però definitivo sugli Agnelli che la giornalista americana e italianizzata Jennifer Clark, già in forza a Wall Street Journal e Bloomberg, compila per Solferino, andando a rovistare anche in posti nuovi e interessanti: archivi del Dipartimento di Stato, della Cia, dell’università di Princeton (per gli anni scapestrati del rampollo Edoardo), e con occhio nuovo guarda alle donne della famiglia. 

 

Dalla lettura incrociata dei due volumoni viene fuori anche un compendio sul maschio capitalistico italiano del Novecento, tra case, donne, mamme, manie, funesti affetti, disgrazie, aeromobili. Certo la vera domanda è: ma interesseranno ancora a qualcuno queste saghe che a noi appassionano? Facendo sondaggi tra i più piccoli, qualcuno saprà indicare “donna Marella” e “la Cinq”? in quei test per dire “non sono un robot”? Intendiamo nel paese reale, non tra quei pochi viziosi che magari leggono i giornali di carta e votano +Europa. 

 

Il berlusconesimo postumo sembra in realtà sospinto da una dolce risacca. La famiglia che a differenza di quell’altra non litiga, Forza Italia che con la force tranquille di Tajani sembra argine sartoriale al salvinismo brutalone. Piacciono i film sul giovane Berlusca e gli spinoff sul giovane Doris. Il brand Silvio Berlusconi pare insomma pronto per un “revamp” e restyling tipo Balenciaga (e del resto raccontano che Marina stia per lanciare in grande stile anche il marchio editoriale “Silvio Berlusconi Editore”, un tempo dedicato alle strenne, ora invece come linea “alta moda” di Mondadori. E lì si vedrà quali intellettuali anche molto rigidi accetteranno o no la profferta). Il brand Agnelli invece è meno cool, diventato sinonimo di litigiosità (mentre vetture vengono fermate alla frontiera e gli viene staccata la bandiera italiana! Chissà cosa avrebbe detto l’Avvocato)

 

Già, Avvocato e Cavaliere. Due nomi d’arte. Se Agnelli avvocato non lo fu mai (non fece mai l’esame di Stato), il Cav. decide di diventare Cav. negli anni Settanta, a modo suo, e qui Ceccarelli riporta per intero una incredibile lettera “scritta di suo pugno in una notte insonne, all’allora ministro dell’Industria e del Commercio Carlo Donat Cattin”. Berlusconi fa un “pitch”, diremmo oggi, su sé stesso: “Ideatore e realizzatore di Milano 2, (…) la prima città al Mondo in cui è stato affrontato e risolto il problema delle auto (…). Il dottor Berlusconi, nato a Milano, è di antichissima famiglia milanese (…) laureato in Legge col massimo dei voti all’Università statale di Milano, premio Giannino Manzoni per la pubblicità̀, ha avuto una carriera che ha del favoloso (…) Il dottor Berlusconi è un uomo di una proverbiale riservatezza (...) Amico personale di Agnelli (…) è un lavoratore infaticabile e trascorre molte ore della notte al lavoro”, eccetera eccetera. Che tipo.  

 

Il più famoso e celebre punto d’incontro tra i due fu nel ‘94 quando il Cav. decise di scendere in campo. Ceccarelli ricorda come col consueto spirito Agnelli gli disse: “ci faccia divertire!”. E poi ai suoi: se vince, vinciamo tutti. Se perde, perde solo lui. Altra questione che sembrava accomunarli era l’amore per la donna. Alla fine l’Avvocato, se visto forse con questo sguardo femminil-americano, viene fuori come un maschio più che alfa alfetta (con portapacchi in midollino), un classico uomo italiano che dice dice ma poi si fa comandare dalle femmine di casa. Infatti nella scelta di Marella come consorte hanno un ruolo fondamentale le sorelle, che scelgono la placida e inesperta principessa al posto di altre più ingombranti ragazze con cui magari l’Avvocato si sarebbe trovato meglio: dunque cassata immediatamente Pamela Harriman, già nuora del primo ministro inglese Winston Churchill, scafatissima e divorziata, che rimane incinta di Gianni e viene fatta abortire (come non succederà invece per Marella). O come Maria Laudomia detta Domietta del Drago, sublime principessa romana (colei che ispira la figura di Desideria nei “Fratelli d’Italia” di Arbasino) con cui Gianni aveva una storia già all’epoca del fidanzamento. “Il matrimonio cominciò come una complicata ‘relazione a tre’, che potrebbe ricordare quella del principe Carlo con Lady Diana decenni più tardi (...). Una fotografia  lo ritraeva con la stupenda Laudomia sulle piste di Sestriere nell’autunno 1955, mostrando pubblicamente che la loro relazione proseguiva, mentre Marella era a casa incinta del secondo figlio”.  

 

Le sorelle vegliavano sugli animal spirit di Gianni, come un po’ la mamma di Berlusconi, la mitologica signora Rosa, alla cui dipartita tutti hanno sempre attribuito lo smottamento delle già fragili difese del super Io berlusconiano. Altri minimi incontri e riscontri: l’uso dell’elicottero, con piccoli distinguo: Agnelli ne aveva lanciato l’uso ricreativo in Italia “ma non era mai atterrato in mezzo a un campo da calcio né si era mai fatto fotografare nell’atto di sollevare una coppa in mezzo ai giocatori o portato a spalle dalla squadra, come faceva Berlusconi” scrive ancora Clark.  L’elicottero per Gianni era più una piattaforma ginnica privata da cui tuffarsi in mezzo al mare, come le barche  (vituperando il piccolo Edoardo terrorizzato sia in aria che in acqua) mentre Berlusconi era meno agonistico: si ricordano le foto in barca a vela insieme, A. torso nudo al timone, B. attaccato alle funi e tutto vestito, con camicia un po’ da ragiunatt. Per B l’Agusta era soprattutto uno status symbol, una propaggine aziendale, una macchina volante anche da gaffe, come quando atterra alla conferenza nazionale di An a Verona nel 1998 praticamente in testa a Gianfranco Fini regalando copie del “Libro nero del comunismo”.  Fini l’aveva presa male: “Ma come gli è saltato in testa di venire a casa mia a darmi lezioni di anticomunismo?”. 

 

Sulle case, un abisso. Se ha appena aperto alla Triennale di Milano la splendida mostra su Gae Aulenti, dove, con grande understatement, si vede anche il progetto per la “casa milanese di un collezionista”, cioè il celebre appartamento in Brera dell’Avv. con le pecore di Lalanne e il tavolo dei meccanici Fiat, con le indicazioni precise su dove mettere water e bidet e i Lichtenstein e i Canova e i Warhol, viene sempre in mente la confessione che ci fece Enrica Aiazzone, sorella molto simpatica del compianto mobiliere: che una volta comprato quello che era lo chalet dello Scià di Persia a St. Moritz, il Cav. ebbe il problema di come arredarne le 35 stanze. Avrebbe potuto buttarsi anche lui sulla “Gae” o su un Mongiardino. No, chiamò Aiazzone, ed ecco 35 stanze in 35 colori diversi (cosa che spiega molto di B.). A St. Moritz poi Galliani raccontò di un fatale incontro, sempre negli anni Ottanta, nei pressi di quello chalet che significava l’esser “arrivato” del Cav. Il gruppo Fininvest tutto imbacuccato incontra il gruppo Agnelli con Montezemolo e Gawronski invece in blazer e camicia aperta fino al petto, e lì la consapevolezza antropologica: “Non saremo mai come loro”. E a proposito di Svizzera, se i quadri Agnelli ormai sono roba più da magistrati che da musei, nel librone Ceccarelli ripercorre tutta la storia del famoso hangar di croste, che è ancora lì, chissà che ne faranno (ma se vogliamo vederla in positivo, gli eredi del Cav. non litigheranno per quei Teomondo Scrofalo). 

 

Nel libro di Clark grazie alla consultazione degli archivi della Cia si apprende invece che le fortune Agnelli ammassate all’estero oggi scandalosa fonte di indagini cominciarono negli anni Settanta, che è il momento anche in cui Marella prende la residenza elvetica. Sono anni in cui oggettivamente tutto può succedere, col terrorismo e i rapimenti (a Roma sequestrato e sfigurato John Paul Getty, in Germania viene sventato un piano per rapire l’erede Bmw).  


E l’America? La faccenda è complicata. Entrambi ovviamente guardavano a occidente, ma è noto che B. avesse in gran simpatia il super satrapo Putin, con tanti scambi reciproci di ospitalità. Recentemente qualcuno ha raccontato un aneddoto secondo cui B. si impressionò molto in una battuta di caccia russa in cui Putin prese e gli offrì il cuore di uno stambecco ancora fumante e il sensibile Cav. vomitò di nascosto dietro un angolo. Chi potrà mai verificarlo. Ma del resto l’aneddotica postuma è sempre materia affascinante. Nello speciale “100 minuti” di La 7, Carlo De Benedetti ha detto che Agnelli portò Anita Ekberg a Torino e incontrando l’Ing. ragazzino incantato da quella visione (i De Benedetti abitavano nello stesso palazzo) gli disse; “e adesso vai a farti una bella sega”, ma non coincide nulla, le date sono impossibili ecc. Nello stesso speciale fantascientifico, l’ex maggiordomo Stewart Thornton racconta che “donna Marella diceva sempre parolacce, perché era napoletana”. In realtà Marella era nata a Firenze e cresciuta in giro  a seguito del padre diplomatico, e pare difficile immaginarla che  magari dopo aver chiuso una telefonata con Richard Avedon o Truman Capote si mette a urlare  dei “chitemmuort” alla servitù;   ma il maggiordomo inchioda i  Caracciolo alle loro origini  partenopee, di circa 1000 anni fa, come dire che da un Visconti oggi ci si dovrebbe aspettare che mangi esclusivamente  cassoeula e risotto giallo. Vabbè. Raccontano al Foglio piuttosto che Thornton viva adesso in Sardegna a Golfo Aranci e sia diventato (oltre che antiborbonico) molto grillino. Ha partecipato anche al famoso documentario Hbo: simmetrico dell’altro grande maggiordomo agnelliano, Brunetto, che invece se ne sta a Torino e ha sempre rifiutato qualunque esposizione, ligio alla promessa di morir tacendo e tacendo obbedir (e, lui sì, fa un ottimo risotto)

 

Ma Berlusconi con l’America? Leggendario il “mi faccia aggiungere un’altra cosa” a cui Bush figlio pietosamente rispose: “your english is very good”, però Berlusconi nonostante i programmi che andava a comprare dai network Usa all’inizio e che hanno definito la Fininvest, è stato più eurocentrico, i suoi legami erano con la Francia di cui parlava benissimo la lingua, e dove sognava di spopolare con La Cinq. Agnelli che pure aveva un celebre appartamento a Parigi invece era di casa a New York, il suo atlantismo era stato bollinato al massimo livello, dalle foto coi Kennedy. Nel libro di Clark sorprende però un “note” del dipartimento di Stato del 1968 stilato dal console americano a Torino, perla di perfidia. Si legge che “Il suo sorriso non è cordiale, così come non lo è affatto la sua personalità. In definitiva, Agnelli è un avvenente, riservato, piuttosto freddo, assai intelligente ex playboy ravveduto, che esercita una grande influenza in Italia, ammira gli Stati Uniti ma non ci ama”, così scrive il console J. Graham Parson il 1 luglio 1968. Cosa che contrasta parecchio con quanto si è sempre detto e che pare abbastanza incredibile. E forse bisognerà mettersi nei panni di questo povero console, sperduto nel suo ufficietto, che magari agognava solo di andare a cena a villar Perosa e magari l’Avvocato con la sua tradizionale dispettosità non se lo sarà mai filato (ma facendo qualche ricerca, vien fuori che il Parson prima era ambasciatore in vari paesi tra cui la Svezia. Chissà che avrà mai combinato per finire declassato console a Torino). 

 

Certo, se non è dato sapere quanto amasse l’America, di sicuro l’Avvocato era molto preoccupato dalla Russia. E nello specifico da quella sorta di “infanzia siberiana” che sua figlia Margherita col secondo marito, il russo revanscista Serge de Pahlen, aveva impartito ai poveri bambini Elkann: vacanze estive in specie di campi scout filozaristi, con alzabandiera; preghiere, icone sacre, anche discriminazioni in quanto cristiano-ebrei. E nel libro di Clark vien fuori anche che forse Gianni e Marella, genitori assenti come ormai si è capito, furono alla fine dei buoni nonni, salvando i nipoti e la Fiat dalla madre russ(i)a. 

 

A proposito, Clark rileva anche che, al netto di tutte le questioni successive, se il maschio Edoardo pareva fin da subito “unfit” a guidare l’impero, nessuno pensò mai neanche per un attimo alla possibilità che potesse farlo la femmina Margherita, anche se erano gli anni Settanta, non l’Ottocento. Sliding doors… magari oggi Margherita sarebbe stata efficiente manager e non pittrice risentita. In casa Berlusconi forse erano più moderni sulle pari opportunità  (e del resto il Cav. era anche un po’ donna Marella, con la sua passione per i giardini).  E se su “mamma Rosa”  alla fine non si scopre molto, o non c’è niente da scoprire, la mamma dell’Avvocato, Virginia Bourbon del Monte, si sa che fu un altro personaggio femminile straordinario. Era figlia di un principe spiantato (la famiglia abitava a palazzo Barberini, ma a piano terra, e si erano venduti l’argenteria per poter continuare a fare feste). Virginia, famosa anche per il leopardo che talvolta teneva al guinzaglio, conquista il papà dell’Avvocato che viene descritto come né bello né brutto,  e impacciato: però gioca bene a bridge. Quando rimane giovane vedova nel famoso incidente di idrovolante, Virginia si trasferisce a Forte dei Marmi con l’amante Curzio Malaparte  e – rivelazione del libro – i due si stanno per sposare, ci sono le prove. Ma poi Virginia mollerà lo scrittore di “Kaputt” (che secondo i rapporti di polizia voleva sposarla per tornare da padrone alla Stampa da cui il senatore Agnelli l’aveva cacciato). Lo lascia senza tante smancerie, probabilmente dopo esser riuscita a convincere il suocero (e Mussolini) ad affidarle la custodia dei figli, con un telegramma: “Comunicole avvenuto completo accordo con la mia famiglia / ritornata con i miei figli / assoluto dovere dedicare loro tutto la mia esistenza per mia esclusiva volontà / decisa non pensare più che a loro / auguromi ardentemente possa anche lei non pensare ormai che al suo lavoro”.  A proposito, Ceccarelli racconta che Putin fece guidare a Berlusconi l’idrovolante in una delle visite del Cav. in Russia, da cui la foto di loro due sorridenti coi colbacchi  come in un loro Brokeback mountain sottozero


Incontri postumi: Berlusconi fu fischiato quando arrivò il 26 gennaio del 2003 ai funerali di Stato di Agnelli a Torino. Forse anche perché a bordo di un’Audi. I funerali di Berlusconi, invece, furono un anno fa. Ceccarelli li ricorda ricostruiti in un notevole blob funebre da “Zoro” con sottofondo Battiato e “I migliori anni della nostra vita”. E con l’omelia di monsignor Delpini, bizzarra, come le recensioni che si fanno per andare sul sicuro, quando racconti solo la trama: “È stato un uomo. È un uomo e ora incontra Dio.”  Agnelli nella vita s’era molto divertito, e forse era stanco, dopo il suicidio del figlio, e la Fiat sul punto di fallire, e forse aveva voglia di andarsene. Berlusconi no, mai: a un certo punto firmò sulla rivista del San Raffaele, “Kos”, un articolone in cui esaltava la voglia di vivere di alcuni indomabili vegliardi: Goethe che si era innamorato a settantadue anni, Tolstoj che a quell’età aveva approfondito lo studio dell’ebraico, Prezzolini che continuò a scrivere sui giornali anche dopo i cent’anni. 

 

Nel 2010, in una manifestazione a Roma, dinanzi a centomila suoi fedeli e tifosi Berlusconi si fece prendere un po’ la mano e annunciò che puntava a campare fino a 120 anni, insieme alla promessa di battere il cancro.  Odiava i funerali: da presidente del Consiglio saltò quelli di Alberto Sordi e di alcuni militari morti in missione all’estero, e in generale di amici anche carissimi come don Verzé, Baget Bozzo, l’avvocato Ghedini. Preferiva senz’altro i matrimoni; come quello di John Elkann, all’Isola Bella, nel 2004, dove planò in elicottero, direttamente dal forum Ambrosetti. Quando spuntò l’Agusta in cielo, sentendo le pale, forse qualcuno ignorando la storia sperò che fosse ancora l’Avvocato: invece era il Cavaliere.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).