Tattico e de panza
Fenomenologia del “cchisenefrega” meloniano, modello Alberto Sordi
Dall’arrivo a Palazzo Chigi si scomodano Tolkien e Montesquieu e magari ora anche Gramsci, ma il riferimento costante e irresistibile è sempre e solo quello: liberare i demoni della commedia all’italiana
E perché allora non in versi, à la Trilussa, à la Gioacchino Belli: “Mo te spiego ‘a procedura, noi famo er premierato, se poi nun ce riuscimo, se n’annamo a fine mandato”. D’accordo, sarà anche inopportuno, sarà anche “inaccettabile”, come dice Schlein, ma quel “cchisenefrega” di Giorgia, pronunciato così, tutto attaccato, è musica per l’elettorato meloniano. “Se perdo vado a casa, ma non è un plebiscito su di me”, diceva ai tempi del referendum costituzionale Matteo Renzi. Suonava bene. Suonava meglio. Ma Renzi si sbagliava due volte: la prima perché sapevamo tutti, lui per primo, che era esattamente un referendum sul renzismo. La seconda perché la politica non si molla così. Ci si acquatta un po’. Si aspetta. Poi si torna. Giorgia sbruffoneggia in vista del suo “all in”, che è identico a quello di Renzi, ma avendo almeno l’accortezza di non dire, “se perdo vado a casa”. Una di quelle frasi che non si perdonano (poi certo, tutto si dimentica, anche Veltroni doveva andare in Africa). E’ insomma un “cchisenefrega” politico è insieme antipolitico. Tattico e de panza. E' il cuore del melonismo di lotta e di governo. Dall’arrivo a Palazzo Chigi si scomodano Tolkien e Montesquieu e magari ora anche Gramsci, ma il riferimento costante e irresistibile è sempre e solo quello: liberare i demoni della commedia all’italiana, la maschera plastica e scaltra di Sordi, i personaggi stravaccati di Verdone, o Roma o Orte! La romanità come collante, chiave, registro, approccio e filosofia di vita, specchio delle vicende nazionali (da qui anche il successo di Osho, uno spin off del melonismo). Anche i manager Benetton, dicono i sindacati, hanno assunto nelle difficili contrattazioni “toni di supponenza alla Marchese del Grillo”, che tra Ponzanzo Veneto, Treviso, Castrette di Villorba, non è proprio il primo riferimento che salta in mente. E’ caduto, grazie a Giorgia, anche quel rifiuto di Roma che alimentava lo spirito nordista. Romana prima ancora che cristiana, Giorgia se ne frega spesso (“non me ne frega gnente di essere chiamata la Presidenta”). Certo, il fregaresene sarà anche un po’ di destra. Ma c’entrano poco il moto dannunziano, le radici mussoliniane dell’adagio celeberrimo, reso anche pop da Achille Lauro. “Me ne frego”, o nella variante popolaresca, “chissenefrega” è semmai un atteggiamento. Un mood. E forse la vera novità di questi tempi non è tanto la prima premier a Palazzo Chigi, ma il fatto che l’unico erede in circolazione di Alberto Sordi sia una donna.