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l'intervento

Perché un sistema con più gare avrebbe evitato i molti imbarazzi del caso Toti

Enrico Musso

Una gara internazionale per gli appalti di Genova avrebbe sottratto il potere di decidere alla politica, garantendo un risultato migliore per il porto e la comunità genovese

I processi si fanno nei tribunali, non sui media. Ma nell’indagine su Spinelli Toti Signorini e i loro allegri amici accusa e difesa fanno a gara nel divulgare le carte, consci della rapidità dei processi mediatici e delle loro irreversibili sentenze. Il che a sua volta permette di farsi qualche opinione – non sui singoli, di cui diranno i giudici fra anni – ma sul “sistema”. 

Opinione: non sono certo di volere un sistema in cui un imprenditore può dare soldi ai politici purché lo dichiari. Ma sono certo di non volerne uno in cui l’imprenditore paga per ottenere dall’amministrazione un atto che dovrebbe essere gratuito. Se accoglie una richiesta sbagliata o impropria può trattarsi di corruzione; e a maggior ragione, se la richiesta è legittima, si tratta di una tassa addizionale per ciò cui si ha diritto. Se non è un reato è una schifezza. Ma gli imprenditori per lo più stanno al gioco. A chi non ci sta va al massimo una medaglia, spesso alla memoria. 
Altra opinione: un politico può ricevere soldi da un imprenditore; e – a prescindere – deve adoperarsi perché le decisioni pubbliche siano non solo giuste ma veloci. A prescindere, appunto. Applausi al politico che si batte, sempre, per accelerare le procedure. Ma se invece l’esito dipende dai soldi che ottiene, allora è un problema. E’ un grosso problema se la decisione accelera o rallenta in funzione dell’arrivo dei soldi. E’ un enorme problema se è anche platealmente sbagliata (la famosa proroga trentennale per la concessione di un terminal che sta per cambiare destinazione: “non ci crede nessuno che teniamo le rinfuse per 30 anni, neanche Pinocchio”). Che dipendesse tutto dai soldi tocca all’accusa dimostrarlo, ci mancherebbe. Però leggere che, dopo il rinvio della decisione da parte di un recalcitrante comitato portuale, Spinelli sospende il pagamento e invita sul suo yacht gli avversari di Toti (Burlando & C.), e che a quel punto Toti s’incazza e chiede a Signorini di rallentare la pratica è sgradevole. 

Altra opinione. Il presidente dell’autorità portuale è nominato dalla politica (dal ministro, con l’intesa della Regione) e di fatto può non avere alcuna competenza in materia, come in questo caso. Riceve uno stipendio annuo di circa 220 mila euro. Il suo datore di lavoro, il contribuente, ne paga 239 mila al Presidente della Repubblica, e meno di un terzo a un professore ordinario con tre livelli di concorsi e oltre 30 anni di anzianità. Per dire. Con 220 mila euro ci si può permettere un presidente che non trascorra i week end con gli imprenditori aspiranti concessionari, non si faccia offrire da loro le gite a Montecarlo o a Las Vegas, né le fiches o le massaggiatrici per allietare le sue serate monegasche; che non conceda altri favori a un altro imprenditore che paga i conti del matrimonio di sua figlia; che non faccia pressioni sui membri del comitato portuale perché votino i provvedimenti cari agli imprenditori di cui sopra. Fatti salvi i reati che valuteranno i giudici, la vicenda pare più un caso di fuga del cervello. Il cittadino-contribuente spera naturalmente che il Nostro si dimostri innocente, ma spera soprattutto di non rivederlo mai più in un posto pagato da lui. 

Ricapitoliamo. Spinelli paga Signorini e Toti. I quali cercano di convincere i membri del comitato portuale a concedere il famoso terminal. Siccome questi ultimi sono anch’essi nominati dalla politica, si dà per scontato che la politica li convinca. E in effetti due di loro, inizialmente contrari, alla fine votano sì.

Cambiare idea non è certo un reato. Ma una bella gara internazionale aperta a tutti, con una giuria di esperti di comprovata competenza e reputazione internazionale, avrebbe sottratto la decisione alla politica, e garantito un risultato migliore per il porto e per la comunità (genovese e italiana) che su di esso conta. Ecco, forse il terminal non sarebbe andato a Spinelli. A quel punto lui avrebbe ugualmente finanziato Toti? No, secondo l’accusa; sì, secondo la difesa. Ai giudici l’ardua sentenza.

Enrico Musso, ordinario di Economia applicata, Università di Genova

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