Il caso

Spending review e redditometro: le parolacce che Meloni vuole abolire

Simone Canettieri

Salta la norma sulla revisione della spesa legata al Pnrr voluta da Giorgetti: non sarà all'ordine del giorno della Conferenza stato-comuni di domani. Forza Italia all'attacco dello strumento fiscale per abrogare la norma primaria

Retromarcia. E siamo a due. Dopo il redditometro è destinato a scomparire dall’ordine del giorno della Conferenza stato-comuni il decreto attuativo che univa la spending review per i comuni ai fondi del Pnrr. Sono bastate le polemiche delle opposizioni e dei sindaci dei centri–medio grandi a far cambiare idea al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. D’altronde, al di là del merito, il governo di Giorgia Meloni è pur sempre in campagna elettorale. Fieramente “stronzi” sì, ma fessi no.

E dunque, oplà: all’appuntamento di domani, tecnicamente sotto l’egida del Viminale, non si parlerà della norma, contenuta nell’ultima legge di Bilancio. Il decreto ritirato dalla discussione – che rischiava di esplodere nelle mani del ministro Matteo Piantedosi – avrebbe dovuto portare nelle casse dello stato duecento milioni di euro, frutto della revisione di spesa nei comuni, soprattutto, e in subordine nelle città metropolitane. A distanza di pochi giorni, il Mef si è rimangiato il provvedimento. Sul quale anche la Ragioneria di stato aveva espresso – con grazia informale – più di una riserva. 
 
La norma prevedeva che il taglio ai Comuni venisse fatto sulla base di due fattori: la spesa corrente (con eccezione per la spesa dei servizi sociali e gli asili nido) e un altro sulle risorse ricevute sui progetti Pnrr (dove gli asili nido, parte capitale, erano inclusi). L’operazione, come detto, aveva destato i dubbi della Ragioneria. I tecnici che fanno capo a Biagio Mazzotta – percepito dal governo come un ostacolo da rimuovere e quindi magari anche da promuovere – temevano    in particolare che venisse applicata una revisione della spesa corrente utilizzando come parametro anche la spesa in conto capitale. Poi ci si sono messe le opposizioni. Soprattutto il Pd che vanta molte fasce tricolori nei comuni e guida l’Anci. Fatto sta che alla fine, il progetto voluto da Giorgetti si è arenato fino a scomparire dalla discussione. E anche il ministro Raffaele Fitto ha dovuto togliersi l’abituale muta fatta di silenzi per rassicurare i comuni sui fondi europei. La situazione dei conti, il buco del Superbonus, l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità: sono tutte preoccupazioni che albergano fra Palazzo Chigi e Via XX Settembre, passando avanti e indietro sotto quel tunnel che per una volta collega senza contrasti la premier di Fratelli d’Italia e il ministro dell’Economia leghista, diversamente salviniano. E comunque il secondo caso in pochi giorni di una norma che appare e scompare. Il caso più famoso ha riguardato l’introduzione del redditometro, a un passo dall’essere approvato salvo abiura della premier, la settimana scorsa durante l’intervista al Festival dell’economia di Trento.

 

Tuttavia queste sono materie che sfregandole, come certe pietre focaie, provocano scintille se non dei veri e propri lapilli. Sicché ieri Forza Italia, all’insaputa del viceministro meloniano Maurizio Leo detentore della delega al fisco, è tornata all’attacco su questo tema. Con tanto di batterie di comunicati stampa i parlamentari azzurri sono usciti allo scoperto per commentare un emendamento al decreto coesione in discussione in Senato per cancellare il redditometro. Per abrogare la norma primaria, risalente addirittura al 1973 come strumento induttivo, accantonata e mai attuata dopo le polemiche. Sull’argomento ci si è messo di buzzo buono il  capogruppo di FI Maurizio Gasparri. Pronto a rivendicare: “E’ tempo di abolire il redditometro, strumento antiquato, iniquo e non recuperabile in una dinamica moderna in cui il contribuente ed il fisco si confrontano all'insegna del rispetto e della fiducia”. Forza Italia confida in una condivisione ampia di questa proposta, che è stata oggetto di riflessioni anche in questi mesi di approfondimenti a tutti i livelli. “Il redditometro fa parte del passato, da abrogare, non del futuro, da costruire”, dice Gasparri. E anche Leo ormai dice che “è uno strumento superato” dal nome infausto. “E infatti non porta bene”. Si   tratta del meccanismo dell’Agenzia delle entrate usato per stimare il reddito presunto dei contribuenti sulla base delle loro spese e dei beni di cui risultano titolari. Venne introdotto per la prima volta con il decreto legislativo numero 241 del 9 luglio 1997 e, successivamente, significativamente potenziato e modificato nel corso degli anni, con interventi legislativi successivi. Tuttavia più della funzione a momenti fa paura la parola: e quindi via, zac, va abrogata per poi ostentarla in questi ultimi giorni di campagna elettorale dove escono fuori i temi e i caratteri identitari (come nel caso dell’operazione mediatica architettata ieri da Meloni per rispondere all’insulto di qualche mese fa del governatore campano De Luca). Tutto nel frullatore, tra decreti da illusionisti e retromarce.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.