Saverio ma giusto
Votare paga (poco). Idee per regolamentare il voto di scambio
Ricompensare adeguatamente gli elettori per superare l’astensionismo. Il prezzo sarà dettato dal mercato: chi spende di più, vince. E tutti sono contenti
L’8 e il 9 giugno si vota in Italia per le elezioni europee, e c’è preoccupazione per il voto di scambio. Sempre più indagini infatti hanno portato alla luce quanto abbia pesato, anche negli ultimi appuntamenti elettorali, l’antica consuetudine di comprare i voti dei cittadini – abbastanza da aggiudicarsi un seggio, che sia in Parlamento o al comune o in Regione; e adesso anche a Bruxelles. La pratica del voto di scambio è talmente diffusa che le elezioni sono entrate nel paniere Istat. Se c’è offerta è perché c’è domanda, dunque mercato. Ma ogni mercato che si rispetti ha bisogno di regole condivise: d’accordo lo spirito imprenditoriale e il libero scambio, ma com’è possibile (inchieste alla mano) che in Puglia un voto costi 50 euro – 25 subito e gli altri 25 al saldo – mentre in Sicilia (fonte Saviano) il prezzo scenda fino a 80 centesimi? E’ una vergogna: gli elettori sono tutti uguali!
In Campania il prezzo del voto persino oscilla, fra i 20 e i 50 euro; e non è dato sapere le ragioni di simile aleatorietà, peggio che in Borsa. Così è il far west, e ci rimettono tutti: ci rimettono politici e candidati, che non sanno se per essere eletti debbano spendere 15 mila o 60 mila euro; e ci rimettiamo noi elettori, che magari vendiamo il nostro voto a un onestissimo “prezzo di mercato” (diciamo 50 euro), ma poi c’è chi rovina la piazza offrendo il proprio voto a metà prezzo. Dov’è la Consob? Dov’è il Codacons? Dov’è l’Antitrust? L’unico modo per sconfiggere la svendita dei voti è regolarne la vendita. Il prezzo lo fissa il mercato; e dato che il mercato in questo caso è la politica, devono essere i partiti a stabilire quanto costa la nostra preferenza a uno di loro. Regole certe e condivise; che al tempo stesso non tarpino le ali alla libera iniziativa di chi vuole vendere il proprio voto nel modo più concorrenziale possibile. Regolamentare il mercato dei voti avrebbe una doppia valenza positiva. In primis, darebbe valore al voto. In un momento in cui le democrazie sono appannate e in affanno, e le elezioni disertate dagli elettori, il messaggio “votare conta e noi siamo disposti a pagare i vostri voti” fa sentire il cittadino finalmente importante. Dare inoltre una valutazione economicamente alta al voto democratico, fissando magari il prezzo medio di un voto attorno ai 150 euro, farebbe sicuramente tornare molte persone a votare.
E qui sta il secondo effetto positivo: se diamo valore economico al voto, un valore tangibile, in contanti, potremmo finalmente vincere la battaglia contro l’astensionismo; anzi, sono certo che torneranno le file ai seggi, e la democrazia sarà nuovamente partecipata. Inoltre così facendo libereremmo la politica dal giogo del consenso, che ha fatto scivolare l’Occidente nella china sempre più discendente del populismo: se i politici comprano i nostri voti non sarà più necessario che loro facciano promesse elettorali sempre più roboanti e irrealizzabili, basterebbe che siano dei buoni pagatori. Avremmo anche un dibattito politico migliore, più concreto e meno inquinato dalla mera propaganda. Spero veramente che in futuro i partiti trovino l’accordo per un prezzario condiviso; intanto però, fra due settimane ci tocca votare così, senza regole né garanzie. Approfitto allora di questo spazio per avvisare che il mio voto è ancora sul mercato, nessuno me lo ha ancora chiesto. Voto nella circoscrizione Italia centrale. Vendo il mio voto a 50 euro – 45 se pagate subito, senza dover aspettare la foto della x sulla scheda. No buoni pasto né voucher. Se interessati, scrivetemi in privato.