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L'anniversario

La strage di piazza della Loggia è un disco rotto per tutti tranne che per Meloni

Michele Masneri

Il presidente della Repubblica a Piazza Loggia, la presidente del Consiglio a Napoli e un 33 giri che non dimenticherò mai più 

"Resisti! Resisti!”, mi dicevo (non nel senso alla Francesco Saverio Borrelli, alla temperie politica, bensì nel non sbracare a rimembrare drammi, rimestare traumi, rivangare inutili sventure, per  diventare magari un Saviano, uno Scurati, un bestsellerista dell’indignazione; magari ce cascano). Però quest’anno qualcosa è cambiato. 

 

In casa mia si è sempre parlato poco della strage di piazza Loggia (a Brescia solo “piazza Loggia”, che valeva sia per il luogo che per l’eccidio, ed era strano che quel toponimo che si frequentava per andare al caffè, o bigiare scuola, a fare tutto quello insomma che si fa in una peraltro bellissima piazza, fosse simbolo anche di orrore). Tranne il fatidico 28 maggio, quando implacabile a casa veniva messo un certo disco di cui dirò in seguito. Ma prima, mannaggia esser nati con un po’ di senso del ridicolo e nella generazione che non si doveva lamentare mai. Però quest’anno appunto qualcosa cambia, mentre Meloni era a Napoli a fare la spiritosa invece di essere a Brescia dove doveva essere, questo  28 maggio che arriva 50 anni dopo il 1974, giorno “di piazza Loggia”. Anniversario di una strage “neofa” in purezza, bollinata da infiniti processi e depistaggi, come ha sottolineato il presidente Mattarella due giorni fa. Quel giorno – ecco l’autobiografia sofferta, il memoir, il libro “necessario”, che “interroga il lettore” (ormai i libri devono per forza interrogare il lettore, ricordandogli evidentemente il liceo) –  mia mamma e mia zia erano in piazza. Piazza che dista peraltro 200 metri dalla casa dove stavamo noi e dove per lo scoppio saltarono i vetri alle finestre  (mio nonno era invece a Fiuggi a “fare le acque”,  le linee telefoniche furono interrotte per ore, insomma gran spavento). Morirono come si sa otto persone. Giulietta Banzi Bazoli, figlia del fratello del poi capo dell’AmbroVeneto e Banca Intesa, dei Trebeschi, famiglie note in città.  


Varie case amiche hanno avuto qualcuno che non ha più parlato, che è andato in depressione, che non è più uscito di casa. Negli anni ci  abituammo. Ma quel giorno fatidico mia mamma era lì incinta di me (che sarei nato qualche mese dopo) e mia zia pure (non incinta ma presente): professoresse democratiche pronte alla chiama della manifestazione sindacale. Ah, che bestseller si sarebbero potuti scrivere! “Nato per caso”. “Vivo per miracolo!”, titoli di lavoro. Editori, siete in ascolto? Ma poi, parlare tutte le volte della strage, che noia, che barba. Che imbarazzo.  Intanto l’anniversario è passato. Il bestseller è rimandato.  

 

Certo, si sarebbero venduti libri come panini. Che poi era strage a km zero, proprio. Pochi giorni prima saltò in aria davanti a casa nostra un tizio su una vespetta: si rivelò essere un altro neofa che faceva le prove. Ma noi bresciani siamo popolo dignitoso e uso al lavoro, lontani dal chiagni e fotti, e non si sono, non ci siamo mai lamentati troppo in questi anni, però due giorni fa eravamo tutti commossi col presidente Mattarella. Al Teatro Grande a un certo punto hanno fatto partire anche la registrazione audio della bomba, e lì, improvvisamente, è arrivata quella madeleine stragistica. Era quel famoso disco che ho sentito mille volte. Perché in casa mia il 28 maggio ci facevano una testa così col disco della strage. Si sente arringare la folla da parte di un sindacalista e poi un boato sordo e sinistro, e dopo interminabili secondi lo stesso sindacalista: “Compagni! State calmi! Non uscite dalla piazza”: noi bambini che intanto sognavamo  Vasco e Michael Jackson eravamo tenuti all’ascolto coatto di quella roba terrorizzante e dopo un po’ pure noiosa, diciamolo. Il disco della strage! Oggi chissà che metriche farebbe su Spotify. 

 

Ricordo ancora quella copertina rossa da cui la zia estraeva il micidiale vinile, la scritta in carattere helvetica; ieri l’ho cercato su eBay per non pensare di soffrire di allucinazioni. Eccolo, esiste, si intitola “Piazza Loggia 10.12”, l’ora della bomba;  17 euro, esaurito (mi sono sempre chiesto cosa ci fosse sul lato B). Crescendo poi ci siamo ribellati e il disco è rimasto nella sua fodera, e nonostante quella compilation dell’orrore, siamo rimasti di sinistra (almeno due su tre fratelli).  Quello della strage è sempre stato anniversario di celebrazioni sobrie, bresciane, er trauma è rimasto sopito per tanti anni. Poi però due giorni fa, con la premier che da consumata influencer faceva la spiritosa a Napoli, e tutti a starle dietro, e gli aiutanti di Palazzo Chigi come dei Fabio Maria Damato (il braccio destro di Ferragni), a riprenderla col cellulare, e  nessuno che si sia accorto che lei non doveva stare lì, bensì a Brescia, insieme al disco,  è scattato qualcosa. A Brescia non è andato neanche il governatore della Lombardia. Hanno spedito la ministra Bernini e qualche vice. Meriterebbero di passare un giorno intero a risentire l’album della strage. Lato A e pure lato B, vabbè. 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).