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Il discorso

Prudenza, ma anche crescita e produttività: il ritardo dell'economia italiana secondo Panetta

Nicola Rossi

Conti in ordine e produttività. L’innovazione al centro delle Considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia, dove comunque non mancano anche riferimenti alle tendenze demografiche

Prudenza fiscale e crescita. Se si volesse cercare un filo rosso nelle prime Considerazioni finali del neo-governatore Fabio Panetta, lo si troverebbe facilmente in questo binomio. Nulla di nuovo, si dirà: da decenni la finanza pubblica e il dinamismo economico sono i punti deboli della nostra economia. Come lo stesso Panetta ha sottolineato, sono punti deboli “sotto gli occhi di tutti, su cui tutti concordiamo”.

Ciò non toglie che nelle Considerazioni finali non sono mancati elementi di novità. Diversamente da quanto spesso accaduto in passato, il tema della crescita economica e, di conseguenza, della produttività è stato posto all’attenzione del paese senza qualificazioni ulteriori. Per quello che è: la causa principale del ritardo dell’economia italiana nell’area dell’euro e la causa di fondo della deludente evoluzione delle retribuzioni. E ciò nonostante i timidi segnali di risveglio osservati negli ultimi tempi. Il che suggerisce che, nelle condizioni date, non ci sia per l’Italia una modalità per risalire la china che non preveda un molto prosaico “rimboccarsi le maniche”. Senza troppi se e senza troppi ma.

Molto opportunamente, il governatore sottolinea a più riprese il ruolo dell’innovazione nella determinazione delle traiettorie della produttività. Qui, con una chiarezza non sempre presente in passato, l’indicazione non è solo quella di “utilizzare tecniche realizzate altrove” ma anche quella di sviluppare la  capacità di generare autonomamente innovazione contribuendo a spostare in avanti la frontiera delle possibilità produttive. Un obbiettivo molto ambizioso per un paese come l’Italia che storicamente – e salvo il ventennio post-bellico – ha sempre preferito collocarsi fra i follower piuttosto che fra i leader tecnologici. Ma un obbiettivo che sarebbe importante porsi e accompagnare con misure mirate a sostenere l’attività di ricerca (cui le Considerazioni finali dedicano, in maniera inconsueta, una esplicita proposta) o la promozione delle iniziative imprenditoriali innovative.

Ma l’innovazione si fa lì dove il rischio viene accettato per quello che è e non viene sempre e comunque evitato, lì dove la voglia di migliorare le proprie condizioni prevale sulla spinta ad accontentarsi, lì dove le libertà economiche consentono ai singoli di esprimersi al meglio. Su questi ultimi aspetti – forse ancora più decisivi delle politiche di accompagnamento dell’innovazione – le Considerazioni finali sono silenti. Ed è un peccato dal momento che il podio da cui vengono pronunciate è fra i pochi in grado di dare credibilmente al paese un orientamento. Tanto più che, com’è naturale, nelle Considerazioni finali non mancano riferimenti alle tendenze demografiche. Riferimenti che però non si spingono fino a riconoscere quel che da tempo è noto: società che invecchiano tendono sempre meno a fare impresa e, di conseguenza, a fare innovazione. Il che avrebbe reso ancor più urgente un invito al paese a provare, a sperimentare, a fallire per provare di nuovo. 

Sul piano delle politiche economiche, com’era da attendersi, spicca il racconto di una politica monetaria tutto sommato virtuosa, in grado di raggiungere i suoi obbiettivi e capace di far seguire alle “misure fortemente espansive” conseguenti alla emergenza pandemica una fase restrittiva in grado di contenere la (prevedibile) fiammata inflazionistica oggi in via di superamento. Quale che sia il giudizio sulle scelte di politica monetaria degli ultimi decenni, è difficile negare che essa abbia saputo cambiare orientamento – a volte con qualche incertezza – quando le circostanze lo imponevano. Sotto questo profilo, colpisce che le Considerazioni finali non dedichino alcuna riflessione al fatto che, al contrario, la politica di bilancio – in particolare quella italiana – non sia stata in grado di prendere atto delle mutate condizioni di contesto.

Le difficoltà incontrate dal meritorio tentativo di fermare la “macchina infernale” del cosiddetto Superbonus lo testimoniano ampiamente. Sarebbe stato utile, in questo senso, non limitarsi a menzionare le “agevolazioni generosissime” ma anche segnalarne la necessità di un definitivo superamento. Sarebbe stato utile ma, se lo si fosse fatto, sarebbe stato poi difficile non auspicare anche la conclusione della stagione delle garanzie pubbliche che hanno distorto e distorcono ancora profondamente l’attività degli istituti di credito mutandone o quasi la stessa ragione sociale. Tutte questioni sulle quali non c’è dubbio che il neo-governatore vorrà e saprà ritornare con la stessa chiarezza che ha voluto utilizzare nel descrivere le “difficoltà” che ancora segnano la nostra economia.