Claudio Mancini (Ansa)

Verso il voto, sul campo

Il 2 giugno del Pd e i candidati alla conta. Parla il dem Mancini

Marianna Rizzini

La litigiosità? "Normale competizione, ci sono le preferenze". La piazza di domani sul premierato, il "mistero" Zingaretti, il partito dei sindaci "che non c'è"

 “Premierato grande inganno”, ha detto ieri la segretaria Pd Elly Schlein in quel di Rapallo. E’ la vigilia di quella che lei stessa ha chiamato “grande manifestazione contro il premierato e l’autonomia”, domani a Roma, a Testaccio. E’ come se, a sinistra e a destra, non si parlasse direttamente di Europa, pur in un grave quadro internazionale. Il deputato dem Claudio Mancini, pilastro romano dell’ex Pci-Pds-Ds-Pd, non teme l’effetto straniamento: “Il voto per le Europee ha sempre una doppia valenza”, dice: “Serve a definire a Strasburgo una maggioranza parlamentare, ma allo stesso tempo influisce sugli equilibri nazionali. E questo è anche il primo test per il governo Meloni, un governo che ha scelto di accelerare proprio su autonomia e premierato, anche perché il patto tra Lega e FdI si regge su quello. Sono loro ad aver posto l’argomento al centro della campagna elettorale, ed è giusto per noi opporci”.

Il leader di Azione Carlo Calenda ha detto che non gli pare opportuno convocare una piazza anti-premierato nel giorno di tutti, la Festa della Repubblica. “Io credo che una torsione autoritaria sia preoccupazione di tanti”, dice Mancini: “La vittoria delle destre in Europa, il prevalere del nazionalismo e la spinta a una semplificazione del sistema politico attorno a un leader sono argomenti che si tengono. E trovo incomprensibile definirsi europeisti e pensare che la discussione sull’Europa sia altro da quella sull’Italia, come se l’Europa fosse pane per le élite”.

 

Dopo questo voto si riproporrà per il Pd, che punta a mantenersi principale partito dell’opposizione, il problema a medio termine delle alleanze. Quella con Giuseppe Conte è così imprescindibile? “Il Pd su questo ha una linea abbastanza omogenea”, dice Mancini: “Oggi la priorità è unire le opposizioni al governo Meloni: per contrastarne i provvedimenti, per affrontare le difficoltà sul piano economico e per sconfiggere nelle urne la modifica della Costituzione. La battaglia politica dirà in seguito se ci saranno le condizioni per una futura alleanza. La stessa modifica costituzionale comporterebbe modifiche inevitabili del sistema politico-elettorale. Con l’attuale legge elettorale, senza alleanze, rivincerebbe questa destra. E anche se, come Pd, avremo un buon risultato alle Europee, con questo assetto non si potrebbe pensare in termini di autosufficienza”. Unione fuori, tra le opposizioni, dunque, ma dentro sembra impossibile staccare dal Pd l’immagine di litigiosità. Ieri Schlein ha dovuto ribadire che la linea del candidato Marco Tarquinio non è la sua. L’immagine di litigio permanente prevale al punto che quando giovedì, a un evento organizzato a Roma da Mancini, con il sindaco Roberto Gualtieri, in sostegno del trio di candidati Schlein, Zingaretti e Matteo Ricci, Zingaretti non si è presentato, al contrario di Ricci, adducendo motivi di agenda, non tutti ci hanno creduto.

 

Non sarà offeso per il sostegno a Ricci, l’ex governatore? “Ci sono le preferenze, se ne possono esprimere tre”, dice Mancini, “quindi la competizione è normale. Io ho fatto la mia scelta: Schlein, Zingaretti e Ricci. Ma questo non produrrà divisioni a carattere permanente. Il Pd è un partito plurale con diverse aree politiche nazionali. Certo, la cosa un po’ paradossale è che queste aree siano guidate da Francesco Boccia, Dario Franceschini, Marco Meloni e Lorenzo Guerini, quattro maschi democristiani e over fifty. Se uno viene da un tradizione democratico cristiana e fonda una componente pd è pluralismo, mentre se uno viene da sinistra è correntismo?”. Il paradosso, per Mancini, è anche “avere una segretaria giovane e di fortissima innovazione e una realtà, nel partito, di una struttura molto tradizionale e con filiere immutabili”. Anche a sinistra, però. “Nessuno si pone problemi se Franceschini sostiene Nardella, che peraltro era coordinatore della mozione Bonaccini. Perché stupirsi se io sostengo Ricci?”. Quindi Zingaretti non è offeso? “I candidati in questi giorni macinano chilometri, è difficile mettere insieme le agende”. Eppure c’è chi sente aria di “corrente dei sindaci”. “La corrente dei sindaci non esiste, e a Roma il pluralismo interno è gestito in modo sereno. Dopo le Europee la priorità sarà far partire bene il Giubileo, ci sarà da lavorare”. Le preferenze comunque piacciono a Mancini: “Sono uno di quelli che soffre a essere eletto con liste bloccate”. Addirittura? “Spero che alle Politiche si voti con una nuova legge elettorale, in caso contrario nel Pd ci saranno le primarie”.

 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.